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Plant based: perché Strasburgo boccia l’utilizzo dei nomi animali

Plant based: Strasburgo boccia l’utilizzo dei nomi animali
Crediti: di Ella Olsson from Stockholm, Sweden, via Wikimedia Commons

Plant based: perché Strasburgo boccia l’utilizzo dei nomi animali

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Luca Salomone

Più dei consumatori, che in realtà difficilmente potrebbero scambiare un prodotto vegetale con uno zootecnico, a preoccupare le imprese del plant based sono i possibili costi e le ricadute.

Di cosa parliamo? Della recentissima decisione del Parlamento Europeo che ha cambiato rotta sul cosiddetto meat sounding, dicendo sì a un emendamento destinato a bloccare l’utilizzo di denominazioni come "burger", "hamburger", "bistecca", "salsiccia" e altre, per gli alimenti veg. Inoltre, i termini "tuorlo" e "albume" dovranno riguardare solo gli autentici ovoprodotti.

Decisione nel 2028

Si tratta di un voto non certo unanime, visto che, a Strasburgo, i favorevoli sono stati 355, mentre i contrari 247. Inoltre, l’annosa questione, che registra così l’ennesima puntata, non comporta scadenze imminenti, dal momento che la palla passa al vaglio dei 27 Paesi membri rappresentati nel Consiglio dell’Ue, organo che, insieme al Parlamento, detiene il potere legislativo. In questo modo l’approvazione, se tale sarà, dovrebbe arrivare solo nel 2028.

Il ripensamento, in fondo, trae origine da una disparità: ricordiamoci che le alternative ai latticini, ormai dal 2017, non possono più avvalersi di termini come latte, panna, burro, formaggio e via citando.

Se lo spirito è buono - tutelare il consumatore -, va detto che le imprese hanno operato sempre in modo trasparente, dichiarando, nelle etichette e nella grafica, gli ingredienti utilizzati, onde evitare, fra l’altro, pesantissime conseguenze e accuse di raggiro.

Del resto va anche ribadito che l’acquirente di cibi plant based non è certo uno sprovveduto ed è, anzi, molto determinato e attento nelle proprie scelte e decisioni di acquisto.

In altre parole, egli vuole evitare appositamente i cibi di origine animale per vari motivi: specialmente salvaguardare il benessere della fauna, adottando stili alimentari vegani o vegetariani, e condurre una dieta che reputa - a torto o a ragione non importa-, più sana e povera di grassi.

Insomma, coloro che riducono tutto – e non sono pochi - a un gioco di lobby e di interessi contrapposti, forse esagerano un po’, ma hanno valide ragioni e non sono certo dei semplici complottisti.

C’è chi dice no

In Italia le reazioni, non molte, ci sono. Dettagliata la posizione di Unione Italiana Food, che opera nel settore veg tramite il Gruppo prodotti a base vegetale, e che esprime forte perplessità.

“Il provvedimento, che non è ancora legge e che dovrà passare il resto dell’iter legislativo, appare già oggi poco chiaro, generando confusione in un consumatore che, invece, sa cosa sceglie di portare in tavola”.

L’emendamento approvato – osserva Unionfood – contiene contraddizioni e diversi passaggi poco chiari.

“Basti pensare che, nell’elenco dei prodotti, si fa riferimento, a titolo di esempio, a denominazioni come tuorli e albumi d’uovo, che sono altro rispetto alla carne”.

Ed è solo uno dei tanti passaggi del testo che rischiano di confondere il consumatore che, invece, come conferma un’indagine di AstraRicerche (marzo 2023, 1.200 soggetti intervistati), conosce bene la composizione degli alimenti a base vegetale.

Il 79,3% di loro legge attentamente le etichette (percentuale che sale fino al 92% presso i più fedeli) e 8 persone su 10 reputano le indicazioni "esplicite e chiare", "facili da leggere e comprensibili", "veritiere e non fuorvianti".

Un dato è evidente, sostiene l’associazione: se questa decisione diverrà legge, a essere penalizzate saranno ben 7 famiglie su 10 (69%), pari a 17,7 milioni di nuclei, che in Italia consumano tali prodotti (ricerca NielsenIQ su un campione di 3.237 famiglie, interpellate dal 26 gennaio al 4 febbraio 2024). Questo corposa fetta della popolazione si troverà davanti a nuove denominazioni, sempre più complesse.

Verso forti investimenti?

“Colpite – conclude Unione Italiana Food - saranno anche le aziende del settore, che dovranno pianificare forti investimenti per rivedere etichette, packaging, campagne di comunicazione e marketing e molto altro”.

Soddisfatta è invece Coldiretti, che tuttavia include questa decisione di Strasburgo in un quadro più ampio, cioè in un insieme di altri provvedimenti previsti dal contesto dell’emendamento, contesto riguardante il Regolamento della PAC.

La confederazione ricorda che “l’introduzione rapida di norme per tutelare le denominazioni dei prodotti a base di carne e contrastare il “meat sounding”, ossia l’uso di nomi come “burger” o “salsiccia” per prodotti vegetali o sintetici, è una battaglia che Coldiretti porta avanti da anni e che andrà a proteggere i consumatori da pratiche ingannevoli e a rafforzare il settore zootecnico europeo”.

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