Vino: le scorte salvano l'export verso gli Usa. Si attende la pronuncia sulla legalità dei dazi
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Vino: le scorte salvano l'export verso gli Usa. Si attende la pronuncia sulla legalità dei dazi

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Luca Salomone

Nel primo semestre, solo "l’effetto scorte” pre-dazi mantiene in positivo l’export di vino negli Usa: lo spiega il Report Wine Monitor Nomisma.

Così, nei 12 principali mercati internazionali, la crescita cumulata delle vendite estere è stata dell’1,5% a valore e del 2,1% a volume.

Una crescita molto relativa

Dunque, non mancano gli elementi di preoccupazione per gli esportatori. E questo in attesa della pronuncia sulla legittimità delle imposizioni Usa, dichiarate illegali dalla Corte di appello di Washington. E sul ricorso presentato dalla Casa Bianca, la Corte Suprema Usa si esprimerà il 14 ottobre, mentre nel frattempo i dazi resteranno in vigore.

La fotografia aggiornata delle importazioni di vino, da gennaio a giugno 2025 nelle maggiori geografie, mette anche in luce l'assenza di un andamento univoco: i singoli Paesi monitorati evidenziano dinamiche differenti, anche se complessivamente i dodici principali mercati internazionali fanno registrare, come detto, una crescita dell’1,5% a valore e del 2,1% a volume.

Gli Stati Uniti si confermano il principale sbocco, ma, appunto, la fine dell’accumulazione di scorte di vino da parte degli importatori, condotta in previsione dell’entrata in vigore dei dazi, ha visto un secondo trimestre in calo: se fino a marzo la crescita delle vendite aveva fatto segnare un +22% tendenziale, il cumulato aprile-giugno ha invece incassato una riduzione del 7 per cento.

Made in Italy sotto la lente

Si tratta di una tendenza che ha coinvolto, naturalmente, anche gli acquisti di vino italiano: la variazione, per il primo semestre, appare positiva (+2,5%) solo grazie allo stoccaggio preventivo.

Per quanto riguarda gli altri mercati di riferimento, anche in Canada i vini esteri hanno “scontato” l’effetto dei dazi di Trump ma, al contrario nel primo semestre dell’anno le importazioni dall’Italia sono cresciute dell’11%  circa, beneficiando della sostituzione “a scaffale” del vino statunitense (come ritorsione ai provvedimenti tariffari dell’amministrazione Usa), crollati di oltre il 65%.

Una performance molto positiva per l'enologia del Bel Paese si registra poi in Germania (+10,3% a valore), in evidente recupero rispetto all’anno scorso.

Al contrario, il Regno Unito fa segnare un ripiegamento nell’import dall’Italia del 7% a valore, così come Svizzera, Corea del Sud, Norvegia e Cina, che hanno registrato una contrazione degli acquisti, come risposta al rallentamento della domanda interna. In positivo, invece, Giappone e Brasile.

Rispetto alle singole categorie vinicole, da gennaio a giugno 2025, decelera l’ascesa degli spumanti italiani, con un incremento cumulato (nei 12 mercati) pari all’1% a valore e al 6% a volume: Giappone, Stati Uniti e Cina sono le tre nazioni top, quelle che registrano le crescite più dinamiche.

Una fotografia di segno opposto, invece, è quella del Regno Unito (-6,6% a valore), Francia (-2,4%) e Australia (-4,4%).

Sul fronte degli acquisti di vini fermi e frizzanti italiani la Germania, dopo un 2024 in negativo, mette a segno un bel recupero (+14,2% a valore), unitamente a Canada, Australia e Brasile, evidenziando performance ottime rispetto al Regno Unito (-8,1%) e alla Cina (-10,5%).

Nomisma: cercare nuovi mercati

«Il rischio di una contrazione del mercato statunitense potrebbe avere un impatto significativo per l’export vitivinicolo italiano, anche alla luce di un trend nei consumi interni che già da qualche anno mostra segnali di rallentamento – aggiunge Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor -. Una flessione non potrebbe essere facilmente compensata, almeno nel breve periodo, dalla crescita di altri mercati, che spesso presentano dinamiche di sviluppo più lente e minori capacità di assorbimento. È proprio per questo che diventa fondamentale per le nostre imprese iniziare a guardare con più attenzione a nuove aree geografiche di espansione, diversificando il più possibile le zone di sbocco. È però necessario essere consapevoli del fatto che il processo di radicamento commerciale al di fuori dei mercati consolidati – come appunto quello statunitense – richiede tempi medio-lunghi, oltre che investimenti mirati e strategie di lungo respiro».

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