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Unimpresa: dazi a impatto ridotto? - Distribuzione Moderna

Unimpresa: dazi a impatto ridotto?

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Unimpresa: dazi a impatto ridotto?

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Luca Salomone

Fra le tante analisi e riflessioni sui dazi Usa, fondamentalmente in partenza il 7 agosto, spicca quella diffusa, il 28 luglio, dal Centro studi Unimpresa. L’associazione considera tutte le variabili al momento in gioco e, in certo qual modo, getta un po’ di acqua sul fuoco.

L’effetto delle esenzioni

L’impatto, secondo questa fonte, potrebbe essere sensibilmente inferiore rispetto alle stime iniziali. Ciò perché alcuni settori chiave, come il farmaceutico, le specialità chimiche e parte dei beni ad alta tecnologia, saranno soggetti a esenzioni, totali o parziali, peraltro ancora in fase di chiarificazione.

A fronte di un nostro export complessivo verso gli Usa pari a circa 66-70 miliardi di euro, l’esposizione effettiva delle imprese italiane si ridurrebbe in un intervallo compreso tra 45 e 50 miliardi di euro.

Di conseguenza, il costo diretto, stimato per le aziende, si attesterebbe fra 6,7 e 7,5 miliardi di euro, rispetto ai quasi 10 miliardi ipotizzati in precedenza, il 25 luglio, dalla stessa Unimpresa.

L’impatto macro sull’Italia potrà essere contenuto tra lo 0,15% e lo 0,4% del Pil cumulato nel triennio 2025–2027, con un’incidenza, nel 2025, fra lo 0,1% e 0,2 per cento.

Le ricadute per settore

Per comparto, e tenendo conto della struttura merceologica dell’export italiano verso gli Usa le quote e i possibili “dazi teorici” (prima di esenzioni e aggiustamenti) sono le seguenti: meccanica e macchinari 27% (18 miliardi di euro, dazio teorico 2,7 miliardi); chimico‑farmaceutico 20% (13 miliardi di euro, 2 miliardi); moda‑pelle 17% (11 miliardi di euro, 1,65 miliardi); agroalimentare e bevande 12% (8 miliardi di euro, 1,2 miliardi); trasporti 11% (7 miliardi di euro, 1,05 miliardi); occhialeria, gioielli, arredamento 9% (6 miliardi di euro, 0,9 miliardi).

Quanto all’occupazione, i precedenti calcoli ipotizzavano fino a 118mila posti a rischio, mentre attualmente, con un quadro più definito e strumenti di compensazione attivabili, la ricaduta è valutata, dall’associazione, nell’ordine delle decine di migliaia.

«Il dazio al 15% non è una buona notizia, ma non è uno shock sistemico: le imprese italiane dispongono di tempo, strumenti e mercati alternativi per assorbire e redistribuire il costo della nuova politica commerciale americana. L’accordo - commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora - è un compromesso che riduce il rischio di guerra commerciale e consente alle nostre aziende di affrontare l’impatto con strumenti e margini di manovra adeguati. La chiarezza legislativa, la possibilità di rinegoziare contratti e la diversificazione dei mercati possono facilitare una gestione ordinata della transizione».

Diversificare le geografie

Nonostante la soglia fissata, restano al 50% acciaio e alluminio, mentre per alcune categorie sono previste, come detto, eccezioni o quote.

L’accordo include, inoltre, impegni europei a maggiori acquisti di energia, microchip e forniture per la difesa negli Usa, oltre a investimenti nell’economia americana (600 miliardi di dollari).

Tre elementi, secondo Unimpresa, giocano in favore di una gestione ordinata dell’impatto.

Il primo riguarda la certezza delle regole: un’aliquota nota (15%) è gestibile meglio di una minaccia “mobile” al 30%, consentendo di rinegoziare listini e contratti di fornitura e acquisti.

Secondo punto a “favore” è la diversificazione geografica. Il sistema produttivo italiano ha già dimostrato, in passato, di saper reindirizzare parte dell’export verso Asia, America Latina, Africa e Medio Oriente, preservando volumi e valore aggiunto.

Il terzo elemento concerne gli strumenti europei e nazionali di mitigazione: credito all’export, garanzie per investimenti produttivi negli Usa e politiche fiscali mirate possono attenuare l’onda d’urto iniziale.

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