L’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, di istanze sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate è, come noto, una tendenza che in questi ultimi anni si è sensibilmente diffusa. Nei più svariati settori le pratiche di Csr - Corporate social responsibility – sono divenute, se non una costante irrinunciabile, quantomeno un elemento con il quale confrontarsi nelle proprie strategie di sviluppo.

Il comparto italiano del retail non si può certo dire che brilli per le iniziative in tal senso. Anche se, a onor del vero, sono sempre più numerose le catene che dedicano attenzione alla cosiddetta responsabilità sociale d’impresa. L’iniziale approccio poco convinto o utilitaristico di molte aziende si è infatti trasformato in una più matura consapevolezza di quanto peso possa rivestire il “vissuto” dell’impresa da parte dell’opinione pubblica e di tutti i portatori di interesse relativamente all’integrità dell’impresa stessa e agli atteggiamenti da questa assunti, non solo nei confronti degli azionisti ma anche della società nel suo insieme.

In questo panorama nazionale “senza infamia e senza lode” vi sono però delle eccezioni. Una di queste ha persino ottenuto un riconoscimento a livello europeo per il suo impegno sociale e ambientale. Il retailer in questione è Coop Italia. Il riconoscimento è la palma di migliore catena della grande distribuzione in Europa per quanto riguarda la responsabilità sociale d’impresa. A conferirglielo è stata Consumers International, federazione che raggruppa oltre 220 associazioni di consumatori di 155 nazioni. E che si è presa la briga di analizzare in dettaglio le principali catene della distribuzione moderna in numerosi paesi europei (Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Polonia, Portogallo e Spagna) per quel che riguarda le loro politiche sulle condizioni di lavoro e i rapporti commerciali nelle catene di approvvigionamento di prodotti dai Paesi in via di sviluppo.

Ebbene, la “nostra” Coop è risultata prima della classe, seguita da Coop Danimarca e a grande distanza dalle altre insegne concorrenti (da Auchan a Lidl, da El Corte Inglès a Delhaize, fino a Veropoulos). A pesare in modo decisivo sulla scelta di Coop – si legge nel rapporto di Consumers International – vi sono la certificazione etica SA8000 e le numerose azioni di Csr ad essa collegate, compreso l’impegno per lo sviluppo del commercio equo e solidale, area nella quale Coop opera con il marchio Solidal e un’ottantina di referenze che spaziano dal caffè all’abbigliamento.

Coop, in effetti, è stata la prima azienda in Europa e tra le prime al mondo a ottenere (nel 1998) la Social Accountability 8000, uno standard internazionale in tema di diritti umani e dei lavoratori, di applicazione volontaria, che comporta il rispetto di una serie di requisiti minimi e che prevede che la loro applicazione sia verificata e certificata da un organismo esterno indipendente.

«Un codice che – hanno orgogliosamente e con una punta polemica commentato i vertici di Coop – la nostra azienda si impegna ad applicare sulla produzione e commercializzazione del prodotto a marchio e che spicca in un quadro complessivo tale da richiedere un intervento della Ue per monitorare i rapporti tra i fornitori e le catene della grande distribuzione, specie se i primi sono in paesi in via di sviluppo».