Sarà, ma a giudicare dai dati resi noti dall’Istat sull’andamento delle vendite al dettaglio nel 2006, qualche dubbio sulla reale ripresa dei consumi sembra proprio affiorare. Indubbiamente i numeri sono migliori rispetto a quelli degli anni precedenti, dove il segno meno era la norma. Ma non ci sembrano fuori luogo, pur con i doverosi distinguo circa il deletereo predominio della gd, le osservazioni di Confcommercio e Confesercenti sulla reale lettura che si dovrebbe operare sui dati.

I fatti
Complessivamente, secondo l’Istat, le vendite 2006 sono cresciute dell’1,2%. Questa la media. In realtà è la grande distribuzione a registrare la performance migliore (+2%), mentre le piccole superfici devono accontentarsi di un modesto +0,7%. A guardare bene, inoltre, ci si rende conto che nella gdo a trainare le vendite sono soprattutto gli hard discount, con un significativo +3,7%. Un dato che dovrebbe fare riflettere sullo “stato” dei consumatori. Bene, comunque, vanno anche gli ipermercati e le altre superfici specializzate (+2,4%), mentre di poco sopra la media si attesta il trend dei supermercati +1,4%).

Una diversa lettura
Tutto questo però riguarda gli andamenti delle vendite a prezzi correnti. Ed è qui che si inserisce l’osservazione sia di Confcommercio che di Confesercenti. Per queste ultime bisognerebbe non lasciarsi andare a facili entusiasmi e “leggere” i dati alla luce dei valori dell’inflazione. Secondo Confcommercio, infatti, «la ripresa non sembra provenire dalla spesa delle famiglie, almeno per quanto riguarda i consumi che passano dai negozi al dettaglio, i quali in termini reali si sono ridotti nel 2006 di tre decimi di punto rispetto al 2005».

«Nel 2006 – rincara la dose Confesercenti - il settore del commercio al dettaglio chiude, al netto dell'inflazione, con un saldo negativo dell’1,1%. Un andamento che non fa distinzioni e colpisce sia il comparto alimentare che il non alimentare. E che preoccupa ancor di più se si considera il basso tasso di inflazione».

Le eccezioni
D'altronde, non si può neanche semplificare il ragionamento e pensare, come sembrerebbero essere inclini a fare le suddette associazioni, che la fotografia scattata dall’Istat mostri inevitabilmente il trionfo della grandi superfici sui piccoli negozi al dettaglio. Vale la pena ricordare (si veda la notizia pubblicata da DM nella rubrica “Successi e strategie” del 15 febbraio scorso) che una catena come Crai, forte soprattutto nei piccoli negozi e nelle superette, ha visto nel biennio 2005-2006 un eccellente risultato, aggiudicandosi lo scudetto di migliore catena distributiva quanto a risultati di vendita. Segno che, chi si dà da fare, anche nelle piccole superfici, se vuole i risultati li ottiene.

Bene il food
Tornando ai dati dell’Istat, la scomposizione del trend delle vendite nel 2006 mostra che sono stati i prodotti alimentari a sviluppare i risultati migliori (+1,5%), mentre il non food ha registrato un +1%. Nella grande distribuzione, tuttavia, questo risultato sembra invertito. Ad andare meglio sono stati infatti i prodotti non alimentari (+2,3%). Il food ha chiuso con un +1,8%.

Scarpe, brico e toiletries i più gettonati

Scendendo nel dettaglio delle rilevazioni dell’Istituto di statistica si scopre che, nella media del 2006, gli incrementi più consistenti hanno riguardato i gruppi merceologici costituiti da calzature, articoli in cuoio e da viaggio; utensileria per la casa e ferramenta; prodotti di profumeria e cura della persona (+1,4% per tutti e tre). Unica categoria in flessione risulta quella dei supporti magnetici e degli strumenti musicali, che flette dello 0,1%.

Il trend delle vendite per aree geografiche, infine, indica che i maggiori acquisti si sono avuti nel Nord est (+1,9%), seguiti dal Centro (+1,4%) e dal Nord ovest (+1,1%). Fanalino di coda il Sud Italia con le isole, cui spetta una “crescita” dello 0,6%.