di Maria Teresa Giannini
In Carrefour la
marca del distributore, sotto le sue varie “vesti”, ha segnato risultati
importanti nel 2021 e poggia su tre pilastri, che l’azienda francese vuole
esaltare per differenziarsi dai competitor: filiere, biologico e prodotti
locali. Ne parliamo con Gilles Ballot, direttore merchandise, marketing ed
e-commerce di Carrefour.
Quanto conta la
marca privata per Carrefour e qual è la strategia dell’azienda sulla Mdd?
Lo sviluppo dei
marchi privati per Carrefour è una priorità assoluta a livello aziendale, sia
in Italia sia nel mondo. Puntiamo a fidelizzare i clienti attraverso i nostri
prodotti, che rendiamo sempre più sostenibili, di qualità e convenienti,
caratteristica non da poco nel contesto attuale. Sotto quest’ultimo aspetto,
stiamo accelerando per proporre ai nostri clienti una soluzione, per tutti i
“bisogni chiave”, che presenti il miglior rapporto qualità/prezzo.
Quali sono stati
i risultati della Mdd nel 2021 per Carrefour?
Lo scorso anno il
tasso delle vendite Mdd è aumentato del 2,2% e lo abbiamo visto a diversi
livelli. Il cuore di questo dato è Carrefour-il Mercato, che rappresenta più
del 70% delle nostre vendite a marchio del distributore per il 2021, ma abbiamo
registrato una crescita anche sul marchio Simpl (che porta sulle tavole
prodotti garantiti da Carrefour con grande attenzione al prezzo) e sul segmento
premium attraverso il marchio Terre d’Italia, che è cresciuto molto negli
ultimi 5 anni.
L’azienda punta
da molto tempo sulle filiere….
Le filiere
qualità Carrefour hanno raggiunto già il 12% di vendite sui freschissimi nel
2021, superando, in un solo anno, l’obiettivo che ci eravamo posti
sui freschi per il 2025, che cioè il 15% provenga da filiere controllate e
prodotti biologici: su questa categoria di prodotti, per essere onesti, negli
ultimi 6-9 mesi c’è stata una frenata, sebbene il marchio Carrefour Bio
rappresenti comunque più del 50% delle nostre vendite biologiche, con 1.000 referenze
di cui 400 Pgc (largo consumo) e il resto Pft (freschi).
Secondo Lei
questo rallentamento è dovuto a problemi di portafoglio momentanei del
consumatore, oppure l’attenzione è concentrata altrove?
Non è semplice
dare una risposta perché il comportamento del consumatore è criptico, tanto più che, sui prodotti di filiera e sulle specialità locali, questo non si
verifica. L’anno scorso abbiamo visto un aumento dello 0,2-0,3% delle vendite. Infatti, con 440 dei nostri fornitori, soprattutto di Filiere qualità
Carrefour, stiamo lavorando per rendere “Bio” le filiere stesse, che restano
una delle nostre priorità. Ma è vero che, attualmente, uno dei problemi è
l’accessibilità di questi prodotti a più fasce di consumatori: le filiere
biologiche richiedono costi aggiuntivi e non sempre si riesce a essere
convenienti allo stesso modo. Dipende dalle referenze. Sulle banane o sulle
confezioni da 6 uova, per esempio, ci siamo riusciti.
Pensate di
sviluppare ulteriormente i progetti di filiera?
Certo, le filiere
sono un punto fondamentale nella nostra strategia non solo di comunicazione, ma
anche di posizionamento. In Italia abbiamo 10.500 produttori piccoli e medi che
lavorano per le nostre filiere e siamo talmente decisi a valorizzarli che li
abbiamo resi protagonisti della campagna di comunicazione intitolata 'Carrefour
il tuo (super)Mercato', lanciata nell’autunno 2021: in quell’occasione, abbiamo
organizzato un mercato, nel centro di Milano, in cui abbiamo riunito i produttori
di Terre d’Italia e Filiere qualità e i clienti hanno scoperto solo alla fine,
guardando il logo sulle buste, che quelli erano produttori Carrefour. Abbiamo
giocato sull’effetto sorpresa, mostrando loro che la qualità e la freschezza
dei nostri prodotti sono le stesse che si trovano nei mercati rionali.
Voi vendete anche
molti prodotti a marchio industriale. Per ognuna di queste linee, qual è il
vostro approccio? Volete sfidare i leader di mercato in termini di referenze,
volumi e prezzi?
Cerchiamo il
migliore rapporto qualità/prezzo, ma si può e si deve sempre migliorare. Il
comparto detergenza, secondo me, andrebbe sviluppato di più, soprattutto affinché abbia un minore impatto sull’ambiente, come stiamo già facendo per il tessile:
stiamo valutando fornitori locali per camicie made in Italy, perché i volumi
finora non sono sufficienti a soddisfare la richiesta dei clienti, senza
contare che i costi di materie prime e trasporto sono esplosi. Inoltre, con la
crisi ucraina, c’è anche il rischio di restare senza le merci, se il ciclo produttivo non è vicino. Per una terra di lunga e consolidata tradizione tessile come l’Italia
vedo un’opportunità ancor più grande, se pensiamo al settore del cibo. Stiamo
lavorando con i grandi fornitori di vini italiani per stilare un elenco di
prodotti esclusivi che possiamo esportare in tutto il mondo, come è già
accaduto con i vini francesi.
Lei ha accennato
ai problemi di trasporto: questi vi costringono a rivedere la vostra sinergia
con i vettori per l’e-commerce?
No, non credo proprio, anche perché una parte delle consegne si fa in bici. Sul last mile ci sono vari modelli: si va da Gorillas, che ha un’opzione riservata a questo servizio e quindi molto costosa, a modelli piuttosto ibridi, come Glovo, Uber e Deliveroo. Noi abbiamo una partnership con ognuno di loro, e anche con Everli sulla consegna personal shopper. In particolare, con Deliveroo abbiamo aperto il nostro secondo dark store a Milano (seconda città dopo Londra) e grazie a loro consegniamo in 10-15 minuti. L’assortimento è ristretto ma arriveremo a breve a 2.000 referenze, l’equivalente di un piccolo Carrefour Express. All’interno del dark store è tutto manuale e - chi lo sa? -, forse in futuro ci saranno modelli automatizzati. Quello che però consente una grande efficacia ed efficienza, se pensiamo che la preparazione dell’ordine richiede mediamente 2 minuti, è l’algoritmo che sta dietro l’ordinazione digitale, sul quale questo partner ha fatto grandi passi avanti. Ed è per questo che lo abbiamo scelto.