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Granoro, pugliesi per origine e per vocazione

Granoro, pugliesi per origine e per vocazione
Granoro, pugliesi per origine e per vocazione

Granoro, pugliesi per origine e per vocazione

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Maria Teresa Giannini

di Maria Teresa Giannini

Con 80mila tonnellate di vendite a volume e un fatturato che ha toccato gli 80 milioni nel 2021, Granoro è otttava a livello italiano per quote di mercato secondo Nielsen; 180 referenze, non tutte a scaffale della grande distribuzione, ma con una forte presenza nel “normal trade”, come salumerie e piccoli dettaglianti.

Il pastificio fondato da Attilio Mastromauro e oggi guidato dalle figlie, Daniela e Marina, rappresenta un po’la soluzione dell’indovinello della Sfinge nel panorama industriale pugliese: un’infanzia come azienda di seconda trasformazione, un’età adulta a prendere coscienza della qualità del grano locale e infine l’età matura sulla strada del cambiamento. Ce ne ha parlato Giandomenico Marcone, in azienda da più di 20 anni come responsabile acquisti e responsabile del progetto di filiera.

Com’è cambiata Granoro e com’è oggi rispetto al 1967, anno della fondazione?

Granoro ha avuto un’evoluzione straordinaria perché in tempi non sospetti – ci tengo a sottolinearlo – ha deciso di cambiare il modo di approvvigionarsi. L’azienda non aveva molini di proprietà e lavorava in seconda trasformazione, cioè sceglieva la semola migliore e la trasformava in pasta. Di recente ha cominciato a condividere un progetto autonomo con gli agricoltori. È nata così la filiera “Dedicato”, nome che sta per “Dedicato alla nostra terra” poiché Granoro ha scelto di utilizzare solo grano 100% pugliese. Il progetto è stato presentato ufficialmente, nel 2012, al Salone del Gusto di Torino e la nuova pasta è entrata da subito sugli scaffali di Eataly.

Quindi, da pugliesi, avete puntato sul grano della vostra regione…

All’interno della produzione italiana il 50% è rappresentato da Puglia e Sicilia e ci sembrava quindi giusto rivendicare, per il grano pugliese, un’immagine, finalmente a pieno titolo, di qualità, specificità e valore. Prima di allora, i grandi molini usavano miscele fra grano di varie parti d’Italia, del centro-Europa e del Canada. A produrre con materia prima 100% italiana c’erano solo pastifici piccolissimi. Le aziende di importanza nazionale hanno cominciato dopo il primo scandalo glifosato.

Il progetto “Dedicato” ha portato valore aggiunto al territorio e al lavoro degli agricoltori locali?

Certo. Dedicato poggia su una condivisione a largo spettro con le varie anime della comunità ed è sostenibile economicamente per gli agricoltori. Il prezzo che paghiamo per il grano è mediamente di 40-50 euro a tonnellata, maggiore rispetto al prezzo sul borsino di Foggia, che è quello più alto fra i due italiani. Il territorio ha talmente condiviso questa filosofia aziendale che la più grande comunità di coltivatori di grano, quella di Apricena, ha deciso di aderire, seguita dalle cooperative a sud del Tavoliere. Fino a 12 anni fa seminare grano in Italia era antieconomico, ma d’altro canto si era in balìa delle oscillazioni del mercato estero. Nei momenti di down, in cui la materia prima era a 18 euro a tonnellata, noi ne garantivamo 28. Sul fronte della produttività, è fondamentale la collaborazione con le facoltà di Agraria di Bari, di Foggia e con il Crea, del capoluogo dauno, che è il centro di ricerca cerealicola per eccellenza in Italia. “La qualità nasce in campo” non è solo uno slogan, è il motivo per cui il cliente finale dovrebbe pagare 20-30 centesimi in più a confezione.

Come è stato il 2021, dopo l’annus horribilis 2020…o dovrei chiamarlo annus “extraordinarius”, dato che i consumi di pasta sono schizzati alle stelle?

Il 2021 in realtà ha avuto due fasi: il primo semestre è stato impietoso rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando avevamo realizzato un +35% dovuto soprattutto all’effetto panico; nel secondo semestre però, ci è piovuto addosso il dramma della carenza globale di grano duro. L’Italia, pur essendo il secondo Paese al mondo per produzione, riesce a soddisfare solo il 65% del proprio fabbisogno interno, il resto deve importarlo e il Canada, nostro maggiore fornitore, nel 2021 ha perso per la siccità più della metà delle sue spighe, che hanno visto triplicare il loro prezzo rispetto al 2019. Da luglio in poi, dunque, è scoppiato nuovamente il panico fra gli operatori esteri, mentre gli italiani correvano ad accaparrarsi il grano nostrano. A oggi il 2021, visto nella sua interezza, risulta quasi uguale al 2020.

Dove distribuite?

Oggi il brand è presente in tante strutture della distribuzione. Al sud è in Dok, Carrefour, Coop, Despar, Auchan e Sidis, nel centro è in Conad, nel nord Italia è in Tigros, Agorà, Famila ed Esselunga, che è anche l’unica insegna per cui produciamo private label (la pasta biologica Mdd).

Quali sono i Paesi verso i quali esportate?

Il Sudafrica, la Francia per il biologico e Dedicato, il Giappone, gli Usa, il Brasile e siamo anche leader di mercato in Kazakistan, verso il quale siamo riusciti a mantenere rapporti per vie traverse nonostante il conflitto in Ucraina. Sulla linea classica, realizzata con miscele di grano, abbiamo problemi con la Bielorussia, dove c’erano molti clienti, o la stessa Ucraina, che ora è totalmente tagliata fuori dai giochi. In Russia avevamo pochi clienti e anche quelli sono andati in fumo. Distribuiamo in Carrefour, Casino e Intermarché per la Francia, in Marks & Spencer per la Gran Bretagna, in Walmart per il Sudafrica, mentre per gli altri Paesi si opera soprattutto tramite piccoli distributori di origine italiana. In Spagna, Mercadona ha una manciata di nostre referenze a scaffale: lì però abbiamo una concorrenza molto accanita anche perché gli spagnoli hanno compreso bene l’importanza di creare sul territorio l’intera filiera, come sta succedendo anche in Paesi terzi come Egitto, Arabia Saudita e in Turchia. Istanbul, in particolare, è diventata un grosso competitor (il 3° produttore mondiale di grano duro), che ha di fatto sottratto il Maghreb all’influenza italiana.

Cosa ci dice sui vostri pack?

Metà dei formati della linea Dedicato e, dal 2016, tutta la linea di pasta biologica sono prodotti confezione costituita dall’80% di carta e da un 20% di polipropilene, la finestrella anteriore. Si tratta di un pack riciclato e certificato Fsc, con metodo Aticelca.

Granoro è la pasta dell’undicesima edizione di Masterchef. Gli spettacoli di cucina influenzano la percezione del consumatore?

I talent coking, in particolare Masterchef, sono vetrine importanti per un prodotto e portano alla ribalta alcune sue caratteristiche, che magari in passato erano bistrattate o poco valorizzate. Pensiamo alla pasta: con il progetto Dedicato siamo passati da una trafilatura al teflon a una in lega di bronzo, più apprezzata per la cottura lenta, la tenuta dei sughi, il rilascio di molto amido nell’acqua di cottura. Questi elementi, in un passato non troppo lontano (anni ’60-70), erano considerati segnali di pessima qualità, anche perché la pasta al teflon era l’unica in commercio durante il boom economico, quando l’industria doveva sfamare 50 milioni di cittadini che consumavano 35 kg all’anno pro capite. Oggi la tendenza all’aumento riguarda altri Paesi e, se da noi i consumi sono calati a 23 kg pro capite, è anche vero che il consumatore è disposto a spendere di più per presentare un prodotto spadellato, mantecato e adagiato correttamente nel piatto. Come dei veri chef.

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