Confimprese-Jakala: il sentiment non è buono

Confimprese-Jakala: il sentiment non è buono
- Information
L’inflazione, all’1’5% in gennaio (ultima rilevazione Istat), impatta su un consumatore già molto preoccupato. Secondo i dati Innovation Team-Cerved per Confimprese, diramati il 20 febbraio, l'umore degli italiani, verso il 2025 è molto problematico e, oltre al costo della vita (segnalato come primo motivo di allarme dal 43%), a pesare sono anche altri fattori.
Fra questi, ancora una volta, il difficile contesto geopolitico internazionale (36,9%), i fenomeni climatici (35,2%) e, in minore misura, la politica interna (29,8%).
Convenienza ancora protagonista
Non sorprende, dunque, che si mantenga in tensione, anche se solo teoricamente, il sentiment dell’81,2% della popolazione, il livello più alto raggiunto negli ultimi 24 mesi.
Per conseguenza resterà in primo piano una strategia di acquisto improntata al risparmio, un trend, d’altra parte, in atto già da parecchio tempo e di cui rischia di fare le spese soprattutto il fuori casa: le famiglie dichiarano sì di volere aumentare lo scontrino alimentare (anche se un 18,8% è intenzionato, invece, a incrementare il proprio budget), ma anche di essere determinate a compiere limature sulla ristorazione.
Non sempre però. Il taglio dovrebbe abbattersi, più che altro, sugli aperitivi, le colazioni, le cene e pranzi di lavoro, mentre saranno meno investiti bar, caffetterie, food delivery e ristoranti di prossimità.
Oltre a questo Confimprese pronostica una ricaduta su voci come il miglioramento della casa (48,7%), l’intrattenimento (45,2%), e, in minore misura, l’elettronica (39,1%) e il beauty (28,9%) un mercato, quest’ultimo, che, essendo stato fra i più dinamici dello scorso biennio, potrebbe accusare un rimbalzo.
Contraddittorie le prospettive dell’abbigliamento: il 43,4% afferma di volere risparmiare, ma una quota quasi identica, del 43,1%, è intenzionato a mantenere gli standard del 2024.
In tale contesto, sempre secondo la fonte, dovrebbero tuttavia reggere soprattutto i centri commerciali e le high-street, a discapito dei negozi collocati in aree periferiche o, comunque, caratterizzate da una modesta capacità di attrazione.
Retail a crescita zero
Veniamo alle performance del commercio, esaminando i dati, anche questi di carattere proiettivo, del barometro semestrale Confimprese-Jakala.
Le stime evidenziano una crescita nulla in volume e intorno all’1,7% in valore, dovuta quindi, in massima parte, a quel +1,5% di dinamica inflattiva.
Per rivitalizzare il flusso nei punti vendita e non appesantire il portafoglio delle famiglie, Confimprese e Jakala pronosticano, sulla base delle dichiarazioni delle aziende, che i listini si limiteranno a un modesto incremento del’1,2%, mentre l’abbigliamento ha già diminuito la scala prezzi, con un piccolo arrotondamento verso il basso, nell’ordine dello 0,1 per cento.
Le stime del Retail Barometer, integrate con l’elaborazione di Global Strategy sull’andamento dei consumi per l’anno 2025 evidenziano insomma un possibile incremento della domanda, in media ponderata, dell’1,7%, ma quasi interamente dovuto, come già detto, alla componente prezzo. Ma con le debite distinzioni: solo il cosiddetto altro retail (casa-arredo, ottica, entertainment, cura persona e servizi) lascia intravvedere aspettative un po’ favorevoli (+3,1%), mentre per l’abbigliamento e la ristorazione ci sarà una frenata, la quale porterà a un rallentamento della crescita e a variazioni rispettive del +0,5 e del +0,4 per cento.
Italia in "buona" compagnia
La strategia di auto-compressione dei listini condurrà il 79% degli operatori a non aumentare la frequenza delle spinte promozionali e questo per salvaguardare margini che, altrimenti, verrebbero intaccati su due fronti (contenimento e scontistica).
Male? Sì, ma non solo per l’Italia, il cui ciclo non si discosta dall’evoluzione di altre grandi economie europee, con la Germania che sta ripiegando sempre di più e la Francia, che risente anch’essa della stagnazione.
“Infine – conclude l’Osservatorio - se i dazi annunciati dagli Stati Uniti dovessero concretizzarsi, si verificherebbe, senza dubbio, un impatto negativo sul settore industriale e sui prezzi a carico dei consumatori, legato al destabilizzarsi del sistema internazionale. In sintesi, ci dobbiamo aspettare un altro anno complesso per il retail, con particolare attenzione alla ristorazione, impattata, più di altri, dall’incremento delle materie prime alimentari e dall'aumento del costo del lavoro, fenomeno questo peraltro generalizzato a tutti i settori”.
Ti è piaciuto l'articolo?
Iscriviti alla newsletter e non perderti gli altri aggiornamenti.