L’onda lunga degli aumenti dei prezzi registrati nelle ultime settimane negli Stati Uniti si appresta a investire anche il nostro paese. Nell’occhio del ciclone vi sono alcune materie prime di base: latte, cereali, oleose. Le previsioni, a detta di alcuni buyer della distribuzione, non sono proprio rosee: gli adeguamenti dei prezzi di molti prodotti derivati richiesti dall’industria produttrice vanno dal 10 al 40%. Insomma, una mazzata in arrivo che non si capisce bene su chi sarà scaricata. O meglio, lo si capisce benissimo.

I produttori definiscono la situazione “grave”, arrivando persino a minacciare di non consegnare le merci piuttosto che cederle con i vecchi prezzi. I retailer, dal canto loro, non sono disposti - se non in minima parte - ad assorbire adeguamenti di listini che si faranno sentire sulle tasche dei consumatori. Lo scenario più plausibile è che gli aumenti vengano “dilazionati” in più tranches così da essere meglio “digeriti” proprio dai consumatori.

Ma quali sono, nello specifico, le categorie interessate a queste tensioni sui listini? Innanzitutto il latte e i suoi derivati, oltre che tutti quei prodotti nei quali l’utilizzo del latte stesso riveste un ruolo importante (si pensi al gelato, solo per fare un esempio). La causa è da ricercare nell’accresciuta domanda di prodotti lattieri da parte di paesi in fase di rapido sviluppo, come l’India e la Cina. Nel comparto del latte e dei derivati, infatti, le maggiori ordinazioni di latte in polvere provenienti dai paesi asiatici hanno annullato il tradizionale effetto calmierante di quest’ultimo sui listini della materia prima. Il prezzo mondiale del latte in polvere è passato dai 2.200 dollari per tonnellata (2005-2006) ai 3.200 nel 2006-2007 e per il prossimo anno Unionalimentari-Confapi prevede un ulteriore incremento di 15 punti percentuali. Rialzo ancora più cospicuo per il burro: +30-40%.

Situazione analoga è quella che sta interessando il mercato cerealicolo e delle oleose. Le cause vengono individuate nella continua crescita della domanda di bio-combustibile (etanolo e biodiesel), nella crescente domanda di cereali da parte dei succitati paesi asiatici e in raccolti poco abbondanti dovuti ad andamenti climatici avversi. Tutto questo si riflette con sostanziali aumenti sui prodotti derivanti da tali materie prime come farina, pasta, sostitutivi del pane, prodotti dolciari, oli di semi ecc.

Per la pasta di semola, in particolare, alcuni fornitori (ma non Barilla per il momento) stanno avanzando richieste di aumento del 20%, a fronte di un aumento della materia prima – mediamente 90 euro a tonnellata, come rileva Unionalimentari-Confapi - che varia di settimana in settimana e che entro settembre potrebbe raggiungere anche il 40%. Discorso analogo vale per le farine (+30%). Qui si spera nel buon raccolto di Francia e Germania per calmare il fenomeno dell'aumento dei prezzi. In fibrillazione sembrano essere le aziende dei prodotti da forno, che oltre a farsi carico degli aumenti dei prezzi delle farine devono fronteggiare quelli di burro per pasticceria (+70%) e uova (+30%). Allo stato attuale si stimano adeguamenti dei listini che oscillano tra il 10 e il 15% in più rispetto al Natale 2006. Infine gli oli di semi: anche in questo caso l'aumento richiesto dall'industria di marca varia dal 10% al 20% a secondo del seme in questione.

Prepariamoci quindi a un autunno caldo. Le frequenti oscillazioni dei listini di alcune materie prime sono sicuramente influenzate anche da una componente speculativa. Ma è indubbio che vi siano dei trend al rialzo che nascono da mutati scenari della domanda. L’industria non può da sola assorbire questi aumenti. La distribuzione difficilmente potrà elevare il già alto livello di promozionalità. Il rischio è che le tensioni sui prezzi che si creeranno saranno interamente scaricate sui consumatori, con conseguenze prevedibili sui già affannati consumi che caratterizzano il nostro paese.