«Bisogna utilizzare i marchi italiani per valorizzare la produzione nazionale di olio». E ancora: «L'’Italia deve conquistare una fetta di mercato finita negli ultimi anni in mano straniere». Tuonano così gli esperti di settore. Pare il momento buono per rivedere cessioni di quote dei brand nazionali della produzione di olio extra vergine di oliva a compratori stranieri.

La Bertolli, lo scorso anno, veniva ceduta per il 25% al Gruppo SOS dei fratelli Salazar (Spagna) con ricadute negative, ovviamente, sulla tenuta occupazionale. A sette mesi di distanza il Gruppo SOS Cuetara cerca acquirenti cui cedere il 25% di Carapelli per reperire i fondi necessari alla acquisizione finale del marchio Bertolli.

Di certo la mossa, che cade dopo una tempesta finanziaria come quella che ha drasticamente abbattuto le quotazioni e i multipli dei mercati finanziari, appare come una conferma dei timori espressi da chi all’epoca dell’annuncio parlò di passo più lungo della gamba da parte dei fratelli Jesús e Jaime Salazar.

I mercati di USA Giappone Australia e Germania, nonostante lo tsunami finanziario non sono saturi. Organizzare l’esportazione senza cessioni di marchio non è una operazione coraggiosa, ma semplicemente necessaria. Il mercato interno, quello italiano per intenderci, si mantiene nell’ordine dei 12 litri all’anno pro capite. Gli sbocchi all’estero sono obbligati. Ma che l’Italia si debba conquistare una fetta di mercato - come si diceva all’inizio - finita in mano straniera è la conditio sine qua non perché il nostro mercato si mantenga stabile e contemporaneamente venga tutelato il livello occupazionale.

Alessandro Foroni