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Le chiusure festive dividono il retail

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Le chiusure festive dividono il retail

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Luca Salomone

Fratelli d'Italia prova a toccare la liberalizzazione degli orari del commercio, vigente dal 2012. Infatti, secondo una proposta del partito, i negozi dovrebbero restare chiusi, in maniera obbligatoria, per 6 giorni all'anno.

Il calendario delle fermate, per ora sulla carta - ma che contrasta con la totale deregulation fissata dall'articolo 31 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, entrato in vigore durante il governo di Mario Monti - comprende Natale, Pasqua, Primo Maggio, Ferragosto, Capodanno e Santo Stefano. Esentata la ristorazione e, a quanto pare, le pasticcerie e il canale travel, mentre le sanzioni per chi tragredisce possono arrivare anche fino a 12 mila euro.

La piattaforma legislativa, scritta e firmata dal deputato Silvio Giovine (Commissione attività produttive), e poi presentata dal capogruppo di Fdi, Galeazzo Bignami, ha suscitato, inutile dirlo, molte reazioni, a volte non convergenti, fra le varie associazioni del settore e non solo fra queste, visto che commenti, per il sì o per il no, sono arrivati anche da altri politici, sindacati, federazioni di consumatori...

Questo forse perché se in queste giornate, di fatto, molti commercianti sono comunque, magari per propria scelta, a riposo, si rischia di creare un precedente che riecheggia alcune tentazioni del passato.

Ecco come le chiusure festive dividono il retail. A reagire male sono innanzitutto i centri commerciali e outlet, per i quali i giorni festivi rimangono un’importante occasione di business.

Commenta Roberto Zoia, presidente Cncc: «Preoccupa dover constatare come questa proposta tenga in considerazione solo alcuni degli effetti che una simile decisione può comportare, senza soffermarsi sulle esigenze dei consumatori, gli interessi delle imprese e le implicazioni sociali ed economiche.

«L’industria dei centri commerciali, infatti, genera un impatto, in termini di occupazione, di quasi 750mila addetti, fra personale diretto e indiretto, i quali vanno assolutamente tutelati, garantendo il lavoro, non diminuendolo. Senza contare che è proprio nei giorni festivi che registriamo il flusso più elevato di presenze, che contribuisce in modo determinante alla sostenibilità economica degli operatori. Infine, riteniamo che questa iniziativa creerebbe ulteriori asimmetrie competitive tra commercio fisico e le piattaforme di e-commerce, che già possono operare tutti i giorni dell’anno e 24 ore su 24».

Nettamente opposto il punto di vista di Anccc-Coop, espresso dal presidente, Ernesto Dalle Rive: «Siamo da sempre favorevoli a una migliore conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro e di fatto le nostre cooperative osservano già la chiusura nelle principali festività laiche e religiose dell’anno. Un obbligo di legge andrebbe, per quanto ci riguarda, a ratificare una situazione già esistente, estendendola all’intero comparto del commercio. Naturalmente occorrerà un confronto dettagliato, per evitare impatti asimmetrici sui diversi operatori e i differenti territori. Crediamo che un numero molto limitato di chiusure festive obbligatorie possa essere un compromesso possibile fra le istanze dei lavoratori e l’esercizio di impresa, senza generare disservizi per i consumatori e senza ledere i principi di liberalizzazione che ci hanno sempre visto favorevoli».

Decisamente contrario Mario Resca, presidente di Confimprese: «La nostra associazione dice no. E' una proposta anacronistica, che non tiene conto delle dinamiche del retail e delle esigenze dei consumatori. Rappresenta un ritorno al passato e un enorme passaggio favorevole all’online, il quale lavora 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Rischiamo di perdere posti di lavoro e fatturati con ricadute sull’intera filiera, senza contare che i festivi generano il 40% del fatturato dell’intera settimana. Siamo per il libero mercato e la libera concorrenza e faremo di tutto per evitare che la proposta diventi legge».

Centri commerciali: più sette per cento

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