Da alcune settimane in Germania è guerra aperta fra i grandi discounter, Lidl, Aldi, Norma e via citando, e le industrie di marca. Guerra di prezzo ovviamente.

I signori dello sconto hanno imposto circa 10 centesimi in meno a cereali per la prima colazione, yogurt, uova, tè caffè, ma anche bevande analcoliche. Fra Lidl e Coca-Cola la cosa si è risolta con una momentanea separazione e con l’estromissione dai 3.300 punti di vendita del gruppo di Coke, Fanta e Sprite. Il prezzo delle scorte, ridotto immediatamente dal distributore, ha scatenato una rincorsa all’accaparramento con conseguenti rotture di stock. E in questo il consumatore dimostra di apprezzare pur sempre i grandi nomi.

Ma la domanda sono parecchie: basta il nome? Coca-Cola può permetterselo?  Lidl arriverà a dimostrare che il tedesco medio tira avanti benissimo anche senza la bevanda più famosa del mondo? E se non può permetterselo Coca, chi può permetterselo?

Ma la cosa, come detto, non riguarda solo due big venuti ai ferri corti. Gli altri grandi player, a partire da Aldi, hanno sposato una strategia identica.

Chiosa Matthias Queck, di Planet Retail, intervistato dal quotidiano “La Stampa”: «Mostrano i muscoli e sono convinto che i prodotti del marchio rosso torneranno sugli scaffali di Lidl molto presto. Ma un altro problema, per Coca-Cola e gli altri brand, è la tendenza storica dei discount a fondare etichette proprie, che fanno concorrenza, o a volte detronizzano i prodotti classici”. La scoperta della private label? Sarebbe troppo ingenuo, detto da un esperto. Parliamo della private label dietro la private label, ossia il primo prezzo cresciuto nelle mani dei discounter, che sta mettendo in discussione persino le grandi marche dei distributori più classici.