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Private label sì, ma con giudizio
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Private label sì, ma con giudizio
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Come vanno le vendite? Che aria si respira tra i protagonisti della distribuzione organizzata? Il prezzo è ancora una chiave di volta per spingere i consumi? Abbiamo chiesto a Danilo Preto, direttore marketing Sisa, una delle insegne leader nel segmento, di rispondere a queste e ad altre domande. br />
E allora, il consumatore è ancora parecchio sensibile al prezzo? O abbiamo svoltato l’angolo?
Non ancora. Ritengo che il prezzo non abbia smesso di esercitare una capacità d’attrazione molto forte. E a rendere più complicate le cose è una domanda di qualità che comunque chi acquista tende a rivolgere. È questa la ragione per la quale agire sull’equilibrio qualità-prezzo è diventato insieme prioritario e difficile per gli operatori del settore.
Vi sono segmenti di prodotto che meglio di altri si prestano ad offrire possibilità di successo in questa ricerca del corretto rapporto prezzo-qualità?
Le marche private, per esempio, anche se bisogna valutare bene le iniziative da prendere affinché non si trasformino in un boomerang. Noi crediamo nel loro sviluppo che potrebbe poi essere la chiave di volta per progetti di comunicazione innovativi.
Che intende dire?
Mi riferisco, per esempio, a una proposta che ci ha fatto Mediaset, un’interessante iniziativa di comarketing che stiamo valutando. L’operazione consisterebbe nel pianificare una campagna di comunicazione sulle sue reti televisive pagandone subito solo una parte, diciamo circa il 25%. Il saldo da versare si legherebbe al risultato dell’operazione, con una percentuale stabilita secondo l’aumento delle nostre vendite. Mediaset si assumerebbe quindi un rischio, ma a fronte della possibilità di incassare anche più del saldo se le vendite andassero oltre le attese.
Già, ma come misurereste l’incremento delle vendite visto che i vostri aderenti, godendo di spazi di autonomia, possono acquistare prodotti anche non centralmente?
Legheremmo il risultato proprio ai prodotti a marchio insegna che i soci possono acquistare solo centralmente. Della qualità di questi prodotti non abbiamo del resto dubbi proprio perché ci mettiamo la faccia, cioè l’insegna, grazie alla scelta di fornitori di fiducia.
Diceva però che sulle private label bisogna agire secondo una strategia consapevole. Come riassumerebbe la vostra?
Quando si decide di mettersi in gioco, soprattutto con una marca insegna, si sa che ci si deve posizionare col prezzo sotto la marca leader senza tuttavia discostarsene troppo sul versante qualità. Potrebbe anzi essere una scelta quella di superare il suo livello qualitativo pur offrendo un prezzo inferiore. Questo significa che a essere ridimensionate saranno quasi sicuramente le vendite del marchio follower, con la rinuncia pressoché automatica, da parte dell’insegna stessa, a incassare un eventuale premio di fine anno. Ecco, la domanda da porsi è proprio questa: si è disposti a rinunciare a quel premio?
La vostra risposta?
Affermativa. Pur coscienti che questa determinazione apre una strada irta di ostacoli e di provvedimenti da prendere.
Cioè?
Se vuoi tallonare la marca leader ed essere tu il follower, e per di più con ambizioni, devi sostenere il prodotto con investimenti nella comunicazione, nel posizionamento a scaffale e così via. Non puoi pensare di metter lì la merce e abbandonarla al suo destino col rischio di vederla andare oltre la data di scadenza. Tutto ciò premesso, le ambizioni bisogna saperle misurare evitando di mettersi in testa di presidiare con propri prodotti tutte le categorie. Bisogna scegliere basandosi su analisi di mercato, interpretando le tendenze in sviluppo e riducendo i costi dove possibile, come quelli della struttura centrale che cerchiamo di far pesare il meno possibile sugli associati.
Dove avete riscontrato un gradimento particolare sui prodotti a marchio insegna?
Sui piatti pronti freschi con i quali abbiamo portato a casa anche un importante riconoscimento a Marca 2010, la fiera specializzata per le private label. Ci siamo aggiudicati il premio innovazione con un’insalata arricchita da pancetta e altri ingredienti fornitaci da Furlotti. Una prelibatezza.
Vi sono altri settori merceologici che tirano più di altri?
Quelli per celiaci, ad esempio. Abbiamo notato una domanda talmente trainante di prodotti senza glutine da aver deciso di proporne 99, dal prosciutto alle bevande, dai sughi pronti ai ghiaccioli, dalle patate prefritte alle marmellate fino ai formaggi; tutti a marchio insegna e tutti compresi nel prontuario Aic, l’Associazione italiana celiachia.
Quanti prodotti offrite a marchio insegna?
Circa 700, ma abbiamo pure altre due linee private label. Una per la gamma alta di alimentari chiamata “Gusto e passione” e “Primo” per il primo prezzo, entrambe a disposizione anche dei consorzi Coralis e Inprof i cui aderenti certo non possono posizionare sugli scaffali dei rispettivi punti vendita prodotti a marchio Sisa.
L.M.
E allora, il consumatore è ancora parecchio sensibile al prezzo? O abbiamo svoltato l’angolo?
Non ancora. Ritengo che il prezzo non abbia smesso di esercitare una capacità d’attrazione molto forte. E a rendere più complicate le cose è una domanda di qualità che comunque chi acquista tende a rivolgere. È questa la ragione per la quale agire sull’equilibrio qualità-prezzo è diventato insieme prioritario e difficile per gli operatori del settore.
Vi sono segmenti di prodotto che meglio di altri si prestano ad offrire possibilità di successo in questa ricerca del corretto rapporto prezzo-qualità?
Le marche private, per esempio, anche se bisogna valutare bene le iniziative da prendere affinché non si trasformino in un boomerang. Noi crediamo nel loro sviluppo che potrebbe poi essere la chiave di volta per progetti di comunicazione innovativi.
Che intende dire?
Mi riferisco, per esempio, a una proposta che ci ha fatto Mediaset, un’interessante iniziativa di comarketing che stiamo valutando. L’operazione consisterebbe nel pianificare una campagna di comunicazione sulle sue reti televisive pagandone subito solo una parte, diciamo circa il 25%. Il saldo da versare si legherebbe al risultato dell’operazione, con una percentuale stabilita secondo l’aumento delle nostre vendite. Mediaset si assumerebbe quindi un rischio, ma a fronte della possibilità di incassare anche più del saldo se le vendite andassero oltre le attese.
Già, ma come misurereste l’incremento delle vendite visto che i vostri aderenti, godendo di spazi di autonomia, possono acquistare prodotti anche non centralmente?
Legheremmo il risultato proprio ai prodotti a marchio insegna che i soci possono acquistare solo centralmente. Della qualità di questi prodotti non abbiamo del resto dubbi proprio perché ci mettiamo la faccia, cioè l’insegna, grazie alla scelta di fornitori di fiducia.
Diceva però che sulle private label bisogna agire secondo una strategia consapevole. Come riassumerebbe la vostra?
Quando si decide di mettersi in gioco, soprattutto con una marca insegna, si sa che ci si deve posizionare col prezzo sotto la marca leader senza tuttavia discostarsene troppo sul versante qualità. Potrebbe anzi essere una scelta quella di superare il suo livello qualitativo pur offrendo un prezzo inferiore. Questo significa che a essere ridimensionate saranno quasi sicuramente le vendite del marchio follower, con la rinuncia pressoché automatica, da parte dell’insegna stessa, a incassare un eventuale premio di fine anno. Ecco, la domanda da porsi è proprio questa: si è disposti a rinunciare a quel premio?
La vostra risposta?
Affermativa. Pur coscienti che questa determinazione apre una strada irta di ostacoli e di provvedimenti da prendere.
Cioè?
Se vuoi tallonare la marca leader ed essere tu il follower, e per di più con ambizioni, devi sostenere il prodotto con investimenti nella comunicazione, nel posizionamento a scaffale e così via. Non puoi pensare di metter lì la merce e abbandonarla al suo destino col rischio di vederla andare oltre la data di scadenza. Tutto ciò premesso, le ambizioni bisogna saperle misurare evitando di mettersi in testa di presidiare con propri prodotti tutte le categorie. Bisogna scegliere basandosi su analisi di mercato, interpretando le tendenze in sviluppo e riducendo i costi dove possibile, come quelli della struttura centrale che cerchiamo di far pesare il meno possibile sugli associati.
Dove avete riscontrato un gradimento particolare sui prodotti a marchio insegna?
Sui piatti pronti freschi con i quali abbiamo portato a casa anche un importante riconoscimento a Marca 2010, la fiera specializzata per le private label. Ci siamo aggiudicati il premio innovazione con un’insalata arricchita da pancetta e altri ingredienti fornitaci da Furlotti. Una prelibatezza.
Vi sono altri settori merceologici che tirano più di altri?
Quelli per celiaci, ad esempio. Abbiamo notato una domanda talmente trainante di prodotti senza glutine da aver deciso di proporne 99, dal prosciutto alle bevande, dai sughi pronti ai ghiaccioli, dalle patate prefritte alle marmellate fino ai formaggi; tutti a marchio insegna e tutti compresi nel prontuario Aic, l’Associazione italiana celiachia.
Quanti prodotti offrite a marchio insegna?
Circa 700, ma abbiamo pure altre due linee private label. Una per la gamma alta di alimentari chiamata “Gusto e passione” e “Primo” per il primo prezzo, entrambe a disposizione anche dei consorzi Coralis e Inprof i cui aderenti certo non possono posizionare sugli scaffali dei rispettivi punti vendita prodotti a marchio Sisa.
L.M.
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