Tra i consumatori italiani ha conquistato uno spazio importante. Nel costume alimentare s’è radicato come prodotto sano, genuino, per di più a Denominazione d’origine protetta. Il suo pregio fondamentale, quello d’esser solo pregiata carne suina e sale, priva di additivi e conservanti, garantisce al Prosciutto di Parma la capacità di resistere anche ai momenti difficili come l’attuale con vendite in Italia stabili, sì, ma non in caduta anche grave come accade ad altri prodotti nello stesso comparto dei salumi e insaccati oppure in altri segmenti alimentari. Vero è che le vendite stabili e a prezzi compressi come quelli in vigore da tempo nella grande distribuzione del nostro paese qualche problema lo pongono. Ne abbiamo parlato con Paolo Tanara, presidente del Consorzio che registra un ottimo andamento delle vendite sul mercato degli Stati Uniti.

In Usa +17%. Ma gli americani non erano più in crisi di noi?
Appunto, erano. Ma vuoi una miglior comunicazione salutistica, vuoi la capacità promozionale messa in campo dal Consorzio nei confronti di consumatori e operatori, hanno stimolato le vendite che nel 2010 hanno più che recuperato quanto perso nel 2009.

Ma lì dove lo si vende? E quanto costa al consumo?
Lo si vende nelle salumerie di più alto livello, come Dean & De Luca o Di Palo a New York, come nei supermercati del Texas, che magari hanno creato spazi adeguati per le prelibatezze alimentari. Così si va dai 50 euro al kg della Gdo ai 65 dei dettaglianti più blasonati per prosciutti che non superano i 16-18 mesi di stagionatura. Per stagionature superiori è tutta un’altra storia.

E invece in Italia le cose come vanno?
Scontiamo una certa saturazione del mercato e una crisi dei consumi che ancora morde. Tante famiglie hanno un approccio più favorevole alla spesa all’inizio del mese e frenano sul suo finire, il che si traduce nella composizione del paniere. Ciò nonostante il Prosciutto di Parma ha retto alla grande se lo si confronta con altri salumi o con altri segmenti dell’alimentare. Riteniamo che questo sia dovuto al suo radicamento nelle abitudini alimentari: è di dominio pubblico il suo vantaggio costituito dall’essere privo di conservanti e additivi. Nel 2010 i consumi italiani si sono ridotti solo dell’1%. Per questo ritengo si debba parlare di stabilità, non di crisi.

Come va il rapporto con la Gdo?
È importante e allo stesso tempo problematico perché i margini per noi da qualche tempo sono pressoché spariti. Siamo in attesa che si ripristino le condizioni di un’economia sana e che le vendite siano accompagnate da una giusta remunerazione, cioè da margini adeguati a consentire investimenti. Altrimenti non è possibile crescere e le aziende possono facilmente subire una condanna al ridimensionamento.

A che livello è la produzione?
Il 2010 si è chiuso a 9,1 milioni di prosciutti che erano 9,4 nel 2009 e 10,1 nel 2008. Diverse aziende hanno preferito ridurre la produzione piuttosto che vendere senza ottenere margini adeguati, così la disponibilità di prosciutti s’è ridotta di circa il 10% in tre anni. A fronte di questo fenomeno vi è quello in forte crescita del Parma preaffettato. Lì le vendite continuano ad andare molto bene.

Quanto bene? E come lo spiegate?
Il Parma preaffettato in vaschette ha messo segno un +10% nel 2010 toccando il 14% della produzione; in cinque anni è raddoppiato.

Capita di vedere sulle vaschette il marchio del Parma insieme a quello di alcune insegne. Sembra una inusuale operazione di comarketing non potendosi parlare di private label vera e propria...
Le insegne della Gdo sono fortemente orientate in questo periodo a capitalizzare la capacità d’attrazione dei loro marchi, rafforzandoli con iniziative che li sostengano ancora di più. Stiamo discutendo di queste azioni con l’obiettivo di tutelare senza sconti il valore del nostro marchio del quale si può fregiare un prosciutto crudo di qualità prodotto secondo un severo disciplinare.

Come pensate di poter sostenere il prezzo del Parma?
Per non trovarsi in condizioni di eccesso di offerta sul mercato, rispetto a una domanda che risente delle sfavorevoli congiunture economiche, il consiglio di amministrazione del Consorzio ha valutato anche la possibilità di operare sul mercato, direttamente oppure con la costituzione di una società ad hoc. Si potrebbe farlo acquisendo dalle industrie una parte della produzione per indirizzarla su mercati esteri emergenti oppure non ancora aperti agli operatori. Sarà però necessaria una modifica all’attuale statuto consortile già allo studio di un’apposita commissione.