Il terzo trimestre del 2025 si è chiuso con segnali contrastanti per il mercato mondiale dell’olio d’oliva.
Secondo quanto emerge dall’Osservatorio sul mercato oleario internazionale di Certified Origins, da un lato le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno raggiunto livelli record, dall’altro il clima estremo e la siccità continuano a condizionare la produzione nei principali Paesi mediterranei.
Nel periodo considerato, le esportazioni europee verso gli Stati Uniti hanno registrato un incremento significativo, con volumi di oltre 66.000 tonnellate a giugno, più del doppio rispetto allo stesso mese del 2024.
Un risultato influenzato dalle strategie di anticipo delle forniture da parte di catene distributive e operatori americani della grande distribuzione, che hanno intensificato gli acquisti per mitigare gli effetti dei dazi.
Le ripercussioni effettive delle misure tariffarie saranno tuttavia più chiare solo nella parte finale dell’anno, quando i dati sulle vendite al dettaglio restituiranno una fotografia completa del mercato.
Sul fronte produttivo, l’Europa mediterranea ha risentito in modo differenziato delle condizioni climatiche estive. In Spagna, il caldo record e la scarsità di precipitazioni hanno imposto una revisione al ribasso delle stime, con un calo del 10% rispetto alle previsioni di inizio stagione, portando la campagna 2025/2026 su livelli analoghi a quella precedente.
In Italia, invece, la situazione è più articolata: al Nord le piogge abbondanti e l’umidità hanno aumentato i rischi di infestazioni da mosche da frutta, mentre al Sud la siccità ha anticipato l’inizio della raccolta in alcune aree già da settembre. Le previsioni complessive indicano una produzione di circa 300.000 tonnellate, pari quasi a un +20% rispetto alla campagna 2024/2025. Per la Tunisia si prevede una produzione di circa 450.000 tonnellate, un dato di rilievo che conferma il ruolo del Paese nel panorama produttivo mondiale.
Gli Stati Uniti restano il principale mercato extra-Ue per l’olio d’oliva europeo, con importazioni stimate oltre le 181.000 tonnellate a metà 2025 e una crescita tra il 14% e il 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Segue il Brasile che registra circa 42.000 tonnellate di olio d’oliva importato dall’Europa, e che, a marzo 2025, ha annunciato la rimozione dei dazi all’importazione sull’olio d’oliva europeo, anche se il volume annuale ha subito un calo temporaneo di circa il 12% a causa di precedenti turbolenze di mercato.
Il Regno Unito si conferma un mercato significativo, con oltre 23.600 tonnellate importate e un modesto incremento annuale dell’1,8%. Si registrano aumenti rilevanti anche in mercati in espansione: l’Australia ha incrementato le importazioni di oltre il 60%, il Canada di oltre il 50% e la Cina di oltre l’85%, confermando la crescente diversificazione geografica e la portata globale della domanda di olio d’oliva.
Parallelamente, i principali esportatori europei monitorano con attenzione l’evoluzione dei fattori macroeconomici: il rallentamento della crescita economica globale, l’inflazione diffusa, la volatilità dei tassi di cambio e le politiche fiscali incidono sui costi di produzione e sul potere d’acquisto di molti consumatori. In questo contesto, l’attenzione resta concentrata sull’andamento delle vendite a scaffale nei prossimi mesi per valutare la capacità di tenuta della domanda nonostante il livello dei prezzi.
“I dati del trimestre confermano che gli Stati Uniti restano uno dei principali partner commerciali per i produttori di olio extravergine d’oliva”, commenta Giovanni Quaratesi, head of corporate global affairs di Certified Origins.
“Nonostante l’imposizione di dazi, negli Usa si rafforza la tendenza verso un’alimentazione più sana, sostenuta anche da iniziative pubbliche e civiche ispirate al messaggio ‘Make America healthy again’, in linea con politiche già adottate in Messico, nell’Unione Europea e nel Regno Unito, mirate a limitare il consumo di alimenti ultraprocessati e contrastare l’obesità infantile. L’olio extravergine è oggi presente in oltre la metà delle case statunitensi e la tendenza è in aumento. Non è ancora chiaro come i dazi potranno influenzare questo trend di crescita nei prossimi mesi, ma è importante ricordare che la produzione nazionale americana, concentrata in California, copre appena il 3% del fabbisogno interno: un dato che sottolinea la forte dipendenza del mercato dagli approvvigionamenti esteri.”