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Segnali di ripresa: opinioni a confronto

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Segnali di ripresa: opinioni a confronto

Segnali di ripresa: opinioni a confronto

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Redazione

Consumi ancora in diminuzione, ma piccola rincorsa del food: è questo il contenuto sostanziale dell’ultima nota sul carrello degli italiani rilasciata giovedì 22 gennaio, dall’Istat.

I dati sono stati anche l’occasione per una sorta di grande punto congiunturale.

“A novembre 2014 – scrive l’Istituto Centrale - l'indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio aumenta dello 0,1% rispetto al mese precedente. Ma nella media del trimestre settembre-novembre 2014, mostra una flessione dello 0,2% sui tre mesi precedenti”. Nel confronto con ottobre 2014, le vendite aumentano dello 0,2% per i prodotti food, mentre restano invariate per quelli non food.

Dopo anni di flessione, ha constatato Federalimentare, in occasione della presentazione del bilancio 2014 e delle prospettive 2015, si arresta la caduta della domanda alimentare degli italiani, che nel 2014 torna flat (-0,1%).

Le cifre, in sostanza, disegnano gli ultimi 12 mesi come l’’anno zero” del comparto. “Se non adeguatamente sostenuta, la ripresa potrebbe però essere stroncata sul nascere -  ha ammonito il presidente, Luigi Scordamaglia -. Il calo di euro e greggio e il miglioramento del credito per le famiglie e le imprese, sono incentivi importanti di sviluppo, ma non sufficienti per un sistema povero di capacità auto-propulsive”.

In particolare, spiega Scordamaglia, bisogna bloccare misure autopunitive come la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, ossia il possibile aumento progressivo dell’Iva (3,5 punti nei prossimi 3 anni), che riaffosserebbe la domanda.

Capitolo a parte per il "reverse charge" sulla grande distribuzione, ossia l’anticipo dell’Iva dei fornitori da parte della Gdo. Secondo Scordamaglia, “con l’inversione contabile dell’Iva la perdita di liquidità, stimata in circa 8 miliardi di euro, imporrebbe alle aziende un oneroso ricorso al credito, tanto più spiazzante per le 52.000 Pmi del settore, che costituiscono il 90% del totale. E innescherebbe ricadute a catena anche in termini di riduzione della domanda interna, sull’intera filiera agroalimentare e sul relativo indotto a livello nazionale”.

Questo scenario in divenire si presenta a conclusione di un anno che ha finalmente visto, secondo Federalimentare, l’assestamento del mercato interno. Nel 2014 gli italiani hanno smesso di alleggerire la borsa della spesa: i 215 miliardi di euro di acquisti di generi alimentari rappresentano il +0 per cento. Un buon segnale dopo sei anni consecutivi di calo superiore ai 2 punti medi annui.

Anzi, secondo il Centro Studi Federalimentare, nel 2015 dovrebbe tornare il segno più (+0,3%), favorito anche dalla stabilità dei prezzi del food (-0,1% nel confronto dicembre 2014/13) e dal calo dei prezzi dell’energia. Positivi anche i pronostici delle esportazioni. Le prospettive 2015 sono migliori dei consuntivi 2014. Federalimentare stima un livello di crescita 2015 del 5,5%, quasi doppio di quello 2014 e analogo a quelli segnati nel biennio 2012-13.  Lo stesso per la produzione, che dovrebbe consolidare il +0,6% di gennaio-novembre, con un passo espansivo 2015 attorno all’1,1 per cento.

Decisamente meno ottimiste le note che vengono dal mondo del commercio, visto che qui le considerazioni vertono anche sul non food, più appesantito. L’Istat scrive che, “con riferimento alla forma distributiva, nel confronto con il mese di novembre 2013, le vendite segnano una flessione sia per le imprese della grande distribuzione (-1%) sia per quelle operanti su piccole superfici (-3,4%)".

Secondo Confcommercio: “Dopo mesi di continue riduzioni, la prima variazione congiunturale positiva dell’indice delle vendite al dettaglio è troppo esigua per immaginare una significativa ripresa a breve termine. Il pericolo deflazione-stagnazione resta cogente”.

Mario Resca, presidente di Confimprese, dal canto suo lancia l’allarme sull’andamento dei centri commerciali. «I dati Confimprese Lab-Nielsen non lasciano dubbi – spiega – ed evidenziano una perdita secca del 4,03% nel solo mese di dicembre e del 3,15% sull’intero 2013. La sempre minore disponibilità di denaro da parte della classe media, che è il cliente per eccellenza degli shopping center, e l’inverno caldo, che non incoraggia lunghe visite, sono tra i fattori determinanti del nuovo, brusco calo».

Preoccupato anche Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione: "Il calo considerevole di novembre coinvolge tutte le categorie merceologiche e tutte le formule distributive a eccezione del discount. Il 2014 sarà dunque il quarto anno consecutivo che chiuderà con una riduzione delle vendite e, fatta eccezione per un debole +0,1% registrato nel 2010, dal 2008 i dati del commercio al dettaglio mostrano un segno negativo, cumulando in questi 7 anni una flessione del 7,6%".


"La situazione paradossale - continua Cobolli Gigli - è che il calo dei consumi si abbina a una variazione dei prezzi pressoché nulla, una condizione che invece dovrebbe favorire gli acquisti. Ma le famiglie, troppo incerte sul futuro proprio e del Paese, accumulano l'eventuale disponibilità economica in risparmi, rimandando le decisioni di spesa. La domanda è in una sorta di 'posizione di stallo', nella quale le persone non osano fare la prima mossa, per paura che poi possa succedere qualcosa che le penalizzi".

"Dati questi presupposti, aumentano i timori per il 2015. Occorre fare tutto il possibile per riattivare un meccanismo virtuoso che trasformi in investimenti produttivi, cioè in consumi, parte del capitale accumulato in risparmi. L'esperienza degli 80 euro, che solo marginalmente si sono tradotti in acquisti, ha dimostrato che da sole queste misure economiche non bastano. E' indispensabile attuare le riforme, che possano ridare speranza e fiducia nel futuro”.

"In questo quadro la Dmo continua la sua azione di sostegno al potere d'acquisto, con le sue politiche commerciali e con i suoi investimenti. Tutto questo è però seriamente messo in pericolo da misure come il 'reverse charge' che inciderebbe pesantemente sulla liquidità disponibile e comporterebbe onerosi costi finanziari e operativi”.

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