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Gli ecosacchetti diventeranno un'ecotassa?
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Gli ecosacchetti diventeranno un'ecotassa?
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Mentre in Francia Leclerc e Auchan si permettono il lusso di scannarsi sui sacchetti di plastica ecologici e da riciclo – il primo li vuole abolire, il secondo adottare nel 100% dei negozi – in Italia tutti circolano con l’ecosporta e chi non lo fa è un fuorilegge. Come tutti ricorderanno l’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo (Pdl) – correva il primo gennaio 2011 – impose ai concittadini di fare la spesa con arnesi che si spaccano, si sfaldano, si bucano, ne fanno di tutti i colori. E impose anche costi ai distributori e un vero ribaltone nell’ambito della produzione industriale. Il tutto ovviamente in nome della buona causa ecologica.
Il bello è che, quando due anni dopo, il sistema aveva ormai assorbito il colpo, si farà a quanto pare marcia indietro. Ieri il Corsera, in un articolo firmato da Rita Querzé, esordiva in modo abbastanza chiaro: “Avete presente i sacchetti di plastica vietati dal 2011 nei supermercati? Non è detta l'ultima parola, potrebbero tornare. L'Unione Europea ha appena inviato una lettera di richiamo all'Italia. Avete esagerato - dicono in sostanza da Bruxelles -. Il vostro divieto alla circolazione dei sacchetti con spessore inferiore ai 60 micron non è giustificato. Non potete vietare la circolazione di un bene che è conforme agli standard europei degli imballaggi. Se proprio volete essere "ecologici" dovete limitarvi a disincentivare l'utilizzo dei sacchetti di plastica usando la leva fiscale” (tanto per cambiare, ndr).
Il pasticcio che ne deriva è ancora peggiore di quello di due anni fa, tra norme restrittive tuttora in vigore e soluzioni da inventare presto. Al ministero dell’Ambiente, coperto oggi dal medico Corrado Clini, regna il caos – per non parlare delle diatribe tra gli schieramenti politici - e si vagliano le possibili scappatoie per accontentare Bruxelles.
La Commissione europea, dal canto suo, sta tirando fuori anche vecchi scheletri nell’armadio e ricorda che la norma, oltre a non essere per nulla normalizzata sul piano del diritto internazionale, a suo tempo non era stata nemmeno notificata, mettendo praticamente le autorità dell’Unione davanti al fatto compiuto.
Ma il peggio deve ancora venire, perché, come riferisce l’agenzia Ansa, è tuttora pendente il ricorso della Federazione europea delle aziende trasformatrici di materie plastiche, appoggiata dall'italiana Unionplast. Intanto quest'anno l'Italia ha convertito in legge (28 del 2012) il decreto che prevedeva al suo articolo 2 una sospensione del divieto di vendita dei sacchetti di plastica non biodegradabili. Sospensione che avrà fine al 31 dicembre 2012, quando con un ulteriore decreto l'Italia stabilirà condizioni supplementari per la vendita dei sacchetti di plastica stessi. E’ piuttosto prevedibile che sarà l’occasione buona per fare ricorso al principio del “chi inquina paga”, mutuato dall’America, ma ormai acquisto anche nella vecchia Europa.
Il bello è che, quando due anni dopo, il sistema aveva ormai assorbito il colpo, si farà a quanto pare marcia indietro. Ieri il Corsera, in un articolo firmato da Rita Querzé, esordiva in modo abbastanza chiaro: “Avete presente i sacchetti di plastica vietati dal 2011 nei supermercati? Non è detta l'ultima parola, potrebbero tornare. L'Unione Europea ha appena inviato una lettera di richiamo all'Italia. Avete esagerato - dicono in sostanza da Bruxelles -. Il vostro divieto alla circolazione dei sacchetti con spessore inferiore ai 60 micron non è giustificato. Non potete vietare la circolazione di un bene che è conforme agli standard europei degli imballaggi. Se proprio volete essere "ecologici" dovete limitarvi a disincentivare l'utilizzo dei sacchetti di plastica usando la leva fiscale” (tanto per cambiare, ndr).
Il pasticcio che ne deriva è ancora peggiore di quello di due anni fa, tra norme restrittive tuttora in vigore e soluzioni da inventare presto. Al ministero dell’Ambiente, coperto oggi dal medico Corrado Clini, regna il caos – per non parlare delle diatribe tra gli schieramenti politici - e si vagliano le possibili scappatoie per accontentare Bruxelles.
La Commissione europea, dal canto suo, sta tirando fuori anche vecchi scheletri nell’armadio e ricorda che la norma, oltre a non essere per nulla normalizzata sul piano del diritto internazionale, a suo tempo non era stata nemmeno notificata, mettendo praticamente le autorità dell’Unione davanti al fatto compiuto.
Ma il peggio deve ancora venire, perché, come riferisce l’agenzia Ansa, è tuttora pendente il ricorso della Federazione europea delle aziende trasformatrici di materie plastiche, appoggiata dall'italiana Unionplast. Intanto quest'anno l'Italia ha convertito in legge (28 del 2012) il decreto che prevedeva al suo articolo 2 una sospensione del divieto di vendita dei sacchetti di plastica non biodegradabili. Sospensione che avrà fine al 31 dicembre 2012, quando con un ulteriore decreto l'Italia stabilirà condizioni supplementari per la vendita dei sacchetti di plastica stessi. E’ piuttosto prevedibile che sarà l’occasione buona per fare ricorso al principio del “chi inquina paga”, mutuato dall’America, ma ormai acquisto anche nella vecchia Europa.
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