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Crisi economica? Riposiamoci e aspettiamo che passi
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Crisi economica? Riposiamoci e aspettiamo che passi
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Nonostante la recessione che infuria e il carrello della spesa che si contrae, la Comunitò episcopale italiana e Confesercenti tornano alla carica e propongono l’iniziativa popolare “Liberare la domenica”, che dovrebbe ritornare, negli intenti dei promotori dell’iniziativa, un giorno di assoluta tranquillità e di riposo da trascorrere con le famiglie. Il tutto mentre il resto dell’Europa, dalla Francia, alla Spagna, al Portogallo, alla Svizzera, si batte per avere un servizio commerciale per 365 giorni all’anno con orari molto più estesi.
Lo riferisce il sito di economia “Wall Street Italia”: “L'obiettivo è di contrastare gli eccessi delle liberalizzazioni, che, a detta di molti commercianti, penalizzerebbero i piccoli negozi a favore dei centri commerciali e della grande distribuzione. Il 14 maggio una delegazione di Confesercenti ha depositato presso la Camera dei Deputati la proposta di legge di iniziativa popolare per cambiare la normativa sulle liberalizzazioni e riportare nell’ambito delle competenze delle Regioni le decisioni sulle aperture degli esercizi commerciali. Fino ad ora sono state raccolte più di 50.000 firme, il minimo per promuovere una legge. Secondo i promotori di questa iniziativa: "con il fatto di tenere sempre aperto non sono aumentati i consumi, né il Pil, né tantomeno l'occupazione e senza una nuova legge nei prossimi 5 anni, più 80.000 negozi saranno costretti a chiudere. Perché a trarre vantaggio da questa situazione è solo la grande distribuzione".
Quello che stupisce è che i piccoli imprenditori non si mobilitino invece contro il sistema bancario che ha azzerato i finanziamenti contro chi vuole fare impresa sul serio, decretando la morte collettiva delle Pmi e negando loro l’unico argomento valido per competere con la gdo: l’innovazione di prodotto e di servizio.
Persino un big come Coop Adriatica ha annunciato ieri la propria sofferenza sui grandi format, ormai disertati dai consumatori. “Se guardiamo a quello che succede oggi nella società – ha dichiarato Paola Primori, direttore generale alla gestione della cooperativa - è molto difficile immaginare che nel futuro il luogo della spesa sia uno spazio enorme come l’ipermercato».
A ulteriore riprova di quanto stiano rantolando i consumi ci sono i dati emanati nei giorni scorsi dall’Istat. L’inflazione di aprile si è fermata allo 0,1%, ma solo perché la gente non compra più: la frutta, documentano Ismea e Coldiretti, ha perso il 4%, il pesce il 5%, la carne bovina il 6%, il vino il 7%, l’olio di oliva l’8%.
Numerose indagini, sebbene di parte (Federdistribuzione), hanno più volte dimostrato che gli italiani apprezzano l’acquisto domenicale. In una simile situazione quello che bisogna fare è regolamentare seriamente i turni, in accordo con i sindacati, fare capire che il lavoratore è libero di scegliere, ma certo non ripiegare, non rinunciare a un’opportunità per l’impossibilità di tenere il passo. Un’impossibilità che deriva, lo ripetiamo, non dalle liberalizzazioni, ma dal credit crunch.
Lo riferisce il sito di economia “Wall Street Italia”: “L'obiettivo è di contrastare gli eccessi delle liberalizzazioni, che, a detta di molti commercianti, penalizzerebbero i piccoli negozi a favore dei centri commerciali e della grande distribuzione. Il 14 maggio una delegazione di Confesercenti ha depositato presso la Camera dei Deputati la proposta di legge di iniziativa popolare per cambiare la normativa sulle liberalizzazioni e riportare nell’ambito delle competenze delle Regioni le decisioni sulle aperture degli esercizi commerciali. Fino ad ora sono state raccolte più di 50.000 firme, il minimo per promuovere una legge. Secondo i promotori di questa iniziativa: "con il fatto di tenere sempre aperto non sono aumentati i consumi, né il Pil, né tantomeno l'occupazione e senza una nuova legge nei prossimi 5 anni, più 80.000 negozi saranno costretti a chiudere. Perché a trarre vantaggio da questa situazione è solo la grande distribuzione".
Quello che stupisce è che i piccoli imprenditori non si mobilitino invece contro il sistema bancario che ha azzerato i finanziamenti contro chi vuole fare impresa sul serio, decretando la morte collettiva delle Pmi e negando loro l’unico argomento valido per competere con la gdo: l’innovazione di prodotto e di servizio.
Persino un big come Coop Adriatica ha annunciato ieri la propria sofferenza sui grandi format, ormai disertati dai consumatori. “Se guardiamo a quello che succede oggi nella società – ha dichiarato Paola Primori, direttore generale alla gestione della cooperativa - è molto difficile immaginare che nel futuro il luogo della spesa sia uno spazio enorme come l’ipermercato».
A ulteriore riprova di quanto stiano rantolando i consumi ci sono i dati emanati nei giorni scorsi dall’Istat. L’inflazione di aprile si è fermata allo 0,1%, ma solo perché la gente non compra più: la frutta, documentano Ismea e Coldiretti, ha perso il 4%, il pesce il 5%, la carne bovina il 6%, il vino il 7%, l’olio di oliva l’8%.
Numerose indagini, sebbene di parte (Federdistribuzione), hanno più volte dimostrato che gli italiani apprezzano l’acquisto domenicale. In una simile situazione quello che bisogna fare è regolamentare seriamente i turni, in accordo con i sindacati, fare capire che il lavoratore è libero di scegliere, ma certo non ripiegare, non rinunciare a un’opportunità per l’impossibilità di tenere il passo. Un’impossibilità che deriva, lo ripetiamo, non dalle liberalizzazioni, ma dal credit crunch.
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