Industria in forte perdita durante la recessione. Come riporta “Il Corriere della Sera”, sulla base dei dati del Cerved, c’è stata un’emorragia di ben 6.000 aziende nel corso del periodo 2008-2013, solo in parte frenato da nuove quanto timide iniziative imprenditoriali. Sembra nettamente in positivo, grazie alla deregulation, solo il comparto dei servizi energetici-carburanti.

Eppure, se si va a guardare il primario, si scopre che i conti non tornano e che è in atto un processo di recupero, sebbene lento, della nostra agricoltura. E questo è particolarmente vero nel biologico che è la punta dell’iceberg del rilancio del lavoro nei campi.

Il Corsera riporta le considerazioni di Enzo Baglieri, coordinatore di Bio Lab-Università Bocconi: “Nel settore (del biologico, ndr) si è ormai raggiunta una sofisticazione tecnologica tale da aver alzato al massimo l’asticella della produzione per numero di addetti, così le nuove aziende nate in questi ultimi anni - consapevoli di non poter competere con le grandi sui processi produttivi - hanno puntato su un mercato di nicchia come i prodotti biologici. Da qui la straordinaria vitalità del comparto, con la crescita anche dell’occupazione».

Per il resto, tutto attorno, prevale il concetto della selezione Darwiniana, per cui chi non ha robuste risorse patrimoniali e mezzi propri da investire (il credito bancario rimane il grande latitante) è destinato a chiudere i battenti, complice un consumatore sempre più esigente e una distribuzione sempre più provata. E questo è vero particolarmente nel Settentrione. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, il Sud, dove le imprese viaggiavano su tassi di natalità già molto modesti, ha resistito meglio ed è stato più facile per gli operatori rimanere sul mercato. Il Centro ha invece pagato un forte tributo legato alla fermata dell’edilizia.

Ci salveranno gli agricoltori?