Afidop: persi 150 milioni con i dazi

Afidop: persi 150 milioni con i dazi
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Puntare sulla qualità del prodotto per combattere la guerra dei dazi: questa la strategia di Afidop, l’associazione italiana dei formaggi Dop, guidata dal presidente, Antonio Auricchio. Infatti si teme che ci saranno 150 milioni di perdite di tipo doganale.
Durante l’assemblea associativa annuale, che si è svolta ieri, 19 giugno, Auricchio ha sottolineato, che «i formaggi Dop e Igp rappresentano un’eccellenza e un patrimonio culturale che dobbiamo preservare. Consolidare la filiera e difendere il valore autentico dei nostri prodotti contro imitazioni e frodi, è essenziale per rafforzare la presenza nei mercati internazionali, dove il Made in Italy è sinonimo di qualità e tradizione».
Produzione in netta crescita
Ma saltiamo ai dati 2024. Le nostre denominazioni europee hanno assorbito 6,44 milioni di tonnellate di latte, vaccino e non, ricevendo il 48% delle consegne totali di materia prima, mentre la produzione casearia Dop e Igp ha superato le 600 mila tonnellate.
Fatta eccezione per la Mozzarella di Bufala Campana Dop, che è stabile, a incidere maggiormente sull’incremento dell’offerta sono stati soprattutto il Grana Padano, cresciuto del 3,5%, il Parmigiano Reggiano, in salita dell’1,4%, il Gorgonzola, con un +1,9% e il Pecorino Romano, con un eccezionale +7,1 per cento.
Ottime e spesso più alte le percentuali raggiunte da formaggi con produzioni più contenute, come Provolone Valpadana, +5,6%, Valtellina Casera, +8,9% e Pecorino Toscano, +3,9 per cento.
Incrociando produzione e territori, le Dop hanno i loro pesi percentuali più rilevanti nella proposta casearia di Emilia-Romagna (90%), Campania (circa 60% dei volumi totali regionali), Sardegna (54%), Lombardia e Piemonte (entrambe sopra il 40%), Veneto (46%), Friuli-Venezia-Giulia, Trentino-Alto Adige, Toscana e Lazio (per queste quattro regioni in misura variabile, compresa fra il 12 e il 20 per cento).
Per quanto riguarda l’export il 40% di quota in volume sul totale delle nostre esportazioni casearie è la media ponderata fra un 37% verso i mercati Ue e un 48% verso la zona extracomunitaria.
Aumentano le esportazioni extra Ue
L’extra-Ue, insomma, mostrerebbe una maggiore propensione all’acquisto di denominazioni.
Merito, senz’altro, degli accordi commerciali tra le Ig, che vedono alleati ben 34 Paesi (ricordiamo solo Messico, Cile, Tailandia, India e Brasile), ma anche del grande appeal di cui godono, in questi mercati, i formaggi duri, a base di latte vaccino e ovino.
Ma le nazioni che davvero spingono le percentuali sono Canada e Stati Uniti: per tutte e due la quota a volume, sul totale dei prodotti caseari acquistati, supera l’80%, quella in valore l’85 per cento.
Gli altri Paesi hanno, in genere, un rapporto analogo, o vicino alla media internazionale (40-43% in volume). È così per Svizzera (41%), UK (40%) Giappone (36%), Norvegia (36%), Corea del Sud (34%), mentre livelli più bassi si osservano negli Emirati Arabi (30%), in Arabia Saudita (21%) e in Cina, che registra solo il 7%, per via della sua predilezione per i freschi.
Tra quelli citati, ci sono anche i mercati a maggiore velocità di crescita delle vendite Dop. Si parte dall’Arabia Saudita, con un +26% a volume sul 2023, per proseguire con Sud Corea (+24%), Emirati Arabi Uniti (+20%), Giappone (+18%), Canada (+15%) e Usa (+10%).
Tuttavia, alcuni Paesi comunitari hanno registrato, durante l’anno, tassi a doppia cifra – come Austria (+13%), Polonia (+11%), Romania (+19%) - in un contesto, quello dell’Unione, che vede le quote Dop più alte in Germania (52% dei volumi totali esportati), Danimarca (48%), Svezia (46%) e Paesi Bassi (44%).
Dazi: come noto, l’amministrazione americana ha sospeso fino al 9 luglio la metà dell’aumento deciso il 2 aprile. È attualmente in vigore quindi, “solo”, un +10%, ma ragionando sul complessivo +20%, che pare programmato, è possibile stimare un costo complessivo di quasi 150 milioni di euro, circa 100 milioni in più, che si sommano ai 50 dell’anno scorso.
In questo contesto, il problema è ben sentito dalle Dop, poiché sono titolari di oltre i quattro quinti dei volumi di export caseario verso gli Usa, in particolare per la terna Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romano (95% delle vendite casearie Dop verso gli States).
«L’applicazione di gravami doganali non si esaurisce poi con effetti sull’entità della tassazione che investe i nostri prodotti, sui prezzi per il pubblico americano, o i volumi di consumo, ma determina anche un serio rischio di incremento di fenomeni come l’italian sounding – ha concluso Antonio Auricchio -. Simili misure quindi non solo andrebbero a penalizzare le nostre produzioni certificate ma, facendo leva sulla fiducia del consumatore, aprirebbero la strada a prodotti locali che, imitando i nostri formaggi migliori, verrebbero favoriti».
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