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Olio d’oliva, produttori “spremuti” fino all’ultima goccia

Olio d’oliva, produttori “spremuti” fino all’ultima goccia
Olio d’oliva, produttori “spremuti” fino all’ultima goccia

Olio d’oliva, produttori “spremuti” fino all’ultima goccia

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Redazione
Per tutti i paesi del Mediterraneo e per l’Italia in particolare, l’olio, specialmente quello d’oliva, rappresenta un elemento imprescindibile della tradizione culinaria. Una sorta di commodity per il consumatore italico, abituato a utilizzarlo quasi quotidianamente. Questo fa sì che il mercato sia ormai particolarmente maturo, con poche prospettive di crescita da un lato, ma dall’altro con la consapevolezza di non poter subire grossi cali anche in un periodo di congiuntura economica sfavorevole. Secondo i dati forniti da Nielsen, infatti, in Italia nell'anno terminante a settembre 2011, il comparto vale 182 milioni di litri (+4,1% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso), per un valore di 687 milioni di euro (+0,6% rispetto al 2010), una minore crescita delle vendite dovuta a un calo del prezzo medio del 3,3 per cento. “L’olio di oliva, per il consumatore italiano, è un prodotto di base, soprattutto in alcune regioni, ma ormai il concetto può essere esteso a livello nazionale – sottolinea Stefano Rinaldi, direttore commerciale di Salov –. Le tensioni e le preoccupazioni derivanti dal quadro economico generale, però, si riflettono sui consumatori e li inducono a essere sempre più attenti e sensibili alla spesa”.
Ovviamente, questo fattore si riverbera anche sul trade e ciò ha comportato un forte utilizzo della leva promozionale nella categoria, che ha visto l'inserimento sugli scaffali di prodotti a basso prezzo e un progressivo consolidamento e rafforzamento della presenza delle private label. “In definitiva, la nostra, come altre categorie, ha vissuto un anno non facile, all'insegna della estrema competitività, un fatto che supponiamo caratterizzerà anche il prossimo futuro”, sintetizza ancora Rinaldi.

La leva promozionale danneggia il settore
Ma la maturità del settore non è l’unico problema che affligge i principali produttori. “C’è poca innovazione – ammette Errico Maconi, direttore vendite Italia di Monini – anche perché l’extravergine appiattisce in modo scriteriato il comparto. Esiste poi una notevole competizione nella gdo, che ha portato a una confusione mostruosa a causa delle promozioni. La distribuzione, infatti, ha badato soprattutto a tutelare le sue esigenze, anche in virtù del fatto che per legge non possiamo intervenire sul prezzo di vendita”. Maconi punta poi il dito sulla necessità di razionalizzare lo scaffale, che attualmente presenta una quantità di marchi troppo elevata.
Anche Rinaldi sottolinea come “il trade sia sempre più attento alla profittabilità e al contenimento dei costi”. “Per quanto ci riguarda registriamo comunque un anno di sostanziale buon andamento – prosegue ancora il direttore commerciale di Salov –, in linea con le nostre aspettative, in particolare abbiamo ottenuto buone performance nei canali cash and carry e food service, dove immaginiamo di avere ancora un buon potenziale di crescita”.
Problemi derivano anche dall’italianità del prodotto, che spesso viene utilizzata come una sorta di specchietto per le allodole. “L’indicazione generica di extravergine è già di per sé una garanzia di qualità – sostiene Maconi – anche se ovviamente il “made in Italy” apporta vantaggi in molti settori compreso il nostro. Spesso, però, esso viene utilizzato come un richiamo, mentre noi preferiamo non usufruire di questo fattore, perché non siamo opportunisti. Abbiamo un solo prodotto, il Fruttato, che è 100% italiano”.

Estero, un’opportunità
Anche se l’Italia rappresenta il mercato più grande al mondo nel consumo di olio d’oliva, il nostro Paese risente necessariamente del contesto economico generale, estremamente stressato e complesso. Alla luce di questo scenario, l’estero può rappresentare una via di sbocco per consolidare la seppur lieve crescita, nonostante su scala globale, ormai da diversi anni, la Spagna ci abbia superato in termini di market share. Un’azienda come Oleifici Mataluni, per esempio, il cui marchio di punta è Olio Dante, già oggi ricava il 35% del suo fatturato (che alla fine del 2010 ammontava a 240 milioni di euro) dalle vendite estere, in paesi quali Germania, Danimarca, Olanda, Inghilterra, Australia, Giappone e Stati Uniti. Proprio questi ultimi, assorbono mediamente 250mila tonnellate all’anno di olio di oliva in generale e si collocano al terzo posto a livello mondiale per consumo, con una quota che sfiora il 13 per cento. Nonostante i consumi pro-capite non raggiungano l’1%, il trend di crescita fa ipotizzare notevoli margini di incremento negli Usa, anche considerando il fatto che nei primi sei mesi del 2011 la quota del made in Italy di olio di oliva in generale ha rappresentato il 54% del mercato a volume e il 58% a valore.
 
Il packaging si rinnova
Pur essendo un settore sostanzialmente saturo, non mancano comunque alcune novità, che riguardano in particolar modo il packaging del prodotto. “A partire da novembre, abbiamo lanciato il nuovo Dante Extravergine “Terre Antiche” in Pet – spiega Vincenzo Mataluni, amministratore delegato di Oleifici Mataluni –, contraddistinto dal logo “Sostieni la Natura”. Il packaging, ideato e prodotto dal nostro centro di ricerca, grazie al colore schermante e al particolare spessore della bottiglia, consente di preservare le stesse caratteristiche organolettiche e nutrizionali dell’olio conservato in vetro. Gli aspetti positivi si calcolano soprattutto in termini di sostenibilità ambientale: essendo molto più leggero della bottiglia in vetro, il Pet comporta una significativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica durante la fase di trasporto”.
Interventi sul confezionamento sono stati apportati anche da Salov. “Abbiamo rinnovato il packaging del prodotto Sagra Extra Vergine Bassa Acidità e presto lanceremo la nuova immagine dell'Extra Vergine Classico. Riteniamo che la nuova confezione sia in grado di trasmettere al meglio i valori del prodotto, che nascono da una grande e lunga esperienza nel settore oleario, che vede Salov ai vertici fin dalla fondazione dell'azienda, che risale al 1919”.

Aceto, la vendemmia scarsa danneggia i produttori
Un prodotto per certi versi complementare all’olio è senza dubbio l’aceto, che nel 2011 ha dovuto fare i conti con una vendemmia piuttosto scarsa, che ne mette a rischio l’approvvigionamento. Il clima, con il caldo record registrato e la vendemmia precoce sono alcuni dei fattori che hanno determinato il basso livello di produzione in termini quantitativi. L’anno terminante a ottobre 2011, sempre secondo i dati Nielsen, si è chiuso comunque con una tendenza positiva sia dei volumi (+0,3%) che dei fatturati (+3,3%), soprattutto grazie alle performance positive dei discount (per il posizionamento di prezzo inferiore agli altri) e degli ipermercati. “Il trend per Ponti è stato stabile nel corso del 2011 – commenta Giacomo Ponti, general manager dell’omonima azienda –, con una buona crescita della Glassa gastronomica a base di aceto balsamico, che è il nostro prodotto più innovativo. In linea generale tutti i segmenti hanno comunque registrato un segno positivo”.
L’incremento dei fatturati superiore a quello dei volumi è da imputare all’aumento del prezzo medio in tutti i canali, soprattutto per la forte crescita proprio del segmento Glassa, che ha un posizionamento di prezzo più elevato nella categoria. “Questo prodotto si conferma regina delle vendite – conferma Ponti –, continua a crescere, quindi significa che il mercato in questo comparto non è ancora maturo. Una prospettiva per il futuro potrebbe quindi essere di segmentare questa linea”.
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