Fino a pochi giorni fa della maxitransazione Blockbuster-Essere Benessere non si capiva proprio niente. Di certo c’era soltanto che il big internazionale del videonoleggio aveva depositato domanda di concordato preventivo al Tribunale di Milano e che dunque il passaggio del gruppo avvenuto a suo tempo a livello internazionale nelle mani di Dish Network, colosso mondiale delle telecomunicazioni e in particolare del video on demand, della pay tv e della pay per view, non era servito a salvare un gruppo sconvolto dal tramonto del rental, superato da formule più innovative, come la proposta di lungometraggi via Internet, e sfiancato dalla pirateria informatica dei contenuti editoriali coperti da copywright.

La stampa – in questo presaga del futuro - aveva dato per certo il passaggio dei punti di vendita italiani al re milanese della farmacia e parafarmacia, l’unico, tra i tanti aspiranti all’acquisto, a offrirsi di rilevare l’intero pacchetto dei 118 negozi della catena made in Usa. Tuttavia i contorni dell’operazione non erano minimamente definiti e dunque le contraddizioni e le supposizioni, più o meno fondate, si inseguivano incessanti. Del resto Blockbuster faceva di tutto per tenere nascosta, o addirittura negare, la propria disfatta, con un paio di comunicati che hanno dato il via a un’infinita sequela di ipotesi e riflessioni.

Oggi Essere Benessere, ha sciolto l’embargo, e ha cominciato a raccontare la verità sulla complessa operazione finanziaria e strategica.
DM si è rivolta direttamente a Danilo Salsi, presidente della società acquirente, carica che condivide con il socio e compagno di avventure Fabio Pedretti, per capire risvolti e conseguenze del deal.

Come sono andate veramente le cose e chi è Essere Benessere?
“Siamo una società di gestione del retail farmaceutico che agisce in tre rami distributivi differenti: farmacie, parafarmacie e corner a marchio del distributore – esordisce Salsi -. Contiamo sull’affiliazione in franchising di 75 farmacie tradizionali per le quali svolgiamo, oltre al ruolo di gruppo di acquisto, numerosi altri servizi. Possediamo poi 5 parafarmacie nei centri commerciali e 27 corner nella gdo, per un totale di 107 esercizi. Abbiamo effettivamente rilevato la rete Blockbuster per riconvertirla in city store all’inglese. Il nostro investimento è stato importante: per acquistare, ristrutturare e avviare gli store ci occorrono 40 milioni. Di questi, 32 verranno finanziati con un aumento di capitale: 12 messi direttamente dalla nostra capogruppo, FD Consultants, e altri 20 da nuovi partner aziendali e privati”.

Cosa significa esattamente city store?
“Un city store è un punto di vendita medio-grande, di circa 350 mq, collocato in piena città e in zone di grande passaggio, con forte visibilità sulla strada, facilità di parcheggio e grande densità abitativa, che tratta farmaci e parafarmaci, più una serie di beni di uso frequente: giornali, detersivi, shampoo, ma anche pane e altre referenze food. Insomma si tratta di una via di mezzo fra Boots e 7-Eleven. La nostra scelta di offrire questa tipologia commerciale dipende da varie considerazioni. Intanto la parafarmacia, così come è oggi, non ha più molto senso e dunque va ripensata. C’è una forte richiesta da parte del consumatore di assortimenti variegati e robusti, che vengano offerti in un’ottica di prossimità. D’altro canto, anche nel mondo delle farmacie, stanno vincendo quegli imprenditori che hanno saputo trasformare il proprio negozio in un vero store, con metrature ampie e offerta completa di beni e servizi”.

Ma 7-Eleven vuol dire, fra l’altro, orari molto estesi. Quale sarà la vostra politica in questo senso, oggi che il pacchetto Monti ha lasciato la più vasta possibilità di personalizzazione al commercio?
“Anche se questa parte della deregulation è passata, noi non intendiamo generalizzare. La fascia oraria da coprire va scelta con cura, dopo attente considerazioni sulla location del negozio.
Cominceremo con aperture dalle 9 alle 22 solo nelle grandi città del Centro Nord e con un paio di vetrine attive 24 ore su 24 a Milano e Torino. Per il resto bisogna capire che l’Italia è molto diversificata. In provincia, dove dopo una certa ora regna il deserto, non vale la pena di puntare su orari molto estesi. Infine  i  consumatori, nel nostro Paese, devono ancora abituarsi al concetto degli orari large o extra large. Insomma serve tempo”.

Si è detto e scritto che, all’indomani del fallimento della liberalizzazione dei farmaci di fascia C, voi abbiate optato per una strategia che rappresenta una vostra personale reinterpretazione della liberalizzazione stessa.
“Non è affatto vero. Il nostro progetto è nato in tempi non sospetti, quando ancora non si parlava nemmeno di togliere alle farmacie il monopolio su alcuni medicinali. Certo la nostra decisione resta  innovativa e resta improntata al concetto di liberalizzazione, ma non ha niente a che vedere con le opportunità, poi messe in soffitta, offerte da una parte del Decreto sulla deregolamentazione”.

La trasfomazione in city store riguarderà l’intera rete ex Blockubster? E che fine faranno i vecchi dipendenti dei videonoleggi?
“In massima parte il network verrà effettivamente rinconvertito. Parliamo di 92 punti di vendita su un totale di 118. I restanti 26 verranno ricommercializzati. Quanto agli addetti, noi ne recluteremo circa 100-120, su un totale che ammontava a 720 posti di lavoro. Ne avremmo assunti volentieri anche di più, ma per la vendita degli Otc a noi servono farmacisti".

Con questa operazione avete fatto un bel salto dimensionale... Si parla anche di una vostra futura quotazione in Borsa…
“Effettivamente abbiamo più che raddoppianto la nostra rete e chiuderemo l’anno sui 250 negozi,  la giusta massa critica per svolgere operazioni di comunicazione istituzionale sul brand Essere Benessere. La Borsa invece può attendere”.

Insomma è nato un gigante, innovativo nella formula di offerta e che si propone come un’alternativa tra due poli che finora erano opposti: la farmacia, da un lato, e la gdo dall’altro. In un tessuto distributivo improntato al bipolarismo ci voleva proprio qualcuno che giocasse il ruolo del terzo incomodo, del rivoluzionario, il tutto a beneficio del profitto, ma anche, e soprattutto, della libertà di scelta del consumatore.