Ha 40 anni di attività, ben 370 associati nella Pianura Padana, fra le Province di Cremona, Parma, Piacenza e Mantova, 7.000 ettari coltivati, 3 stabilimenti industriali con oltre 560.000 tonnellate di trasformato, per un giro d’affari 2017 di 240 milioni di euro: parliamo di Consorzio Casalasco del pomodoro, titolare del marchio Pomì e, da un anno, di De Rica, che ha rilevato da Generale Conserve. E De Rica non vuol dire solo altre e prestigiose conserve rosse, ma anche ottimi legumi.
Il gruppo sì è distinto recentemente per l’acquisto di Sac Spa di Carmagnola (TO) rilevandone il 65% delle azioni, un’operazione che ha ribadito un’alleanza, societaria e commerciale, già in essere da 30 anni. L’azienda piemontese, con un giro d’affari 2017 intorno ai 40 milioni di euro, è attiva storicamente oltre confine, in particolare nell’area francese, olandese e belga, dove commercializza e distribuisce principalmente derivati del pomodoro, salse e condimenti, oltre a frutta sciroppata, riso e legumi, sia a marchio proprio (Victoria), sia a marchio del distributore, per il retail e il food service. Sca ha un ufficio a Parigi, visto che, nel segmento dei rossi private label, è tra i primi 3 operatori locali, con una quota di mercato del 35-40 per cento.


A commentare l’operazione, con Distribuzione Moderna, è Costantino Vaia, Direttore Generale del Consorzio: “L’acquisizione rientra in un piano strategico di sviluppo che prevede partnership con realtà consolidate e già presenti sullo scacchiere internazionale”.

Quanto è importante l’estero per il vostro gruppo?

Molto, anzi moltissimo, visto che assorbe circa il 60% della produzione. Oggi copriamo 74 nazioni con i nostri prodotti finiti, di cui 58 con i marchi proprietari. Per i nostri brand il primo mercato è quello americano: negli Stati Uniti Pomì è presente in più di 20.000 punti di vendita ed è leader di mercato. Di recente abbiamo condotto una grande azione di rafforzamento, inserendo nuovi formati e nuove referenze.

Altri Paesi rilevanti, oltre agli States?

Se parliamo dei nostri brand una posizione di primato ci contraddistingue anche in Austria, seguita dalla Germania. Molto importanti sono poi la Russia e gli Emirati. Fra i mercati in sviluppo metterei alcune nazioni dell’America Latina - come Brasile, Colombia e Venezuela -, il Far East e il Giappone. È un’ampia copertura geografica che ci consente un forte visibilità e che, insieme alla grande varietà dell’offerta e all’attività di copacker, ci permette di avere un alto livello di ripartizione del rischio. Se ci riferiamo ai marchi terzi le aree per noi più calde sono Germania, Scandinavia, Gran Bretagna e Francia.

Quanto incide per voi l’attività di copacker?

Ha un peso dell’80% circa sul fatturato. Il nostro primo cliente è l’industria, italiana e straniera. Oltre confine è robusta, da parte di leader locali e multinazionali, la richiesta, sia di prodotti rossi finiti, sia di pomodoro come materia prima di salse, zuppe, condimenti vari. Lavorare per le grandi marche presuppone riservatezza, capacità di innovazione, sviluppo e ricerca. Ci sono tanti modi di essere terzisti, e il nostro è di essere propositivi, sostenibili e affidabili. Per questo, tornando a quell’80% di quota, voglio precisare che un 65% è composto da clienti che hanno rapporti con noi da 20 anni.

Lavorate anche per la Gdo?

Certo, visto che chi è terzista per le maggiori marche lo diventa facilmente anche per le catene distributive, mentre, fatte le debite eccezioni, non è sempre vero il contrario. Osservo che una parte della Dmo sta facendo un ottimo lavoro, e puntando, anche nei rossi, sovente troppo vincolati a logiche di prezzo, su assortimenti di qualità.

Quanto ha pesato per voi il deprezzamento della materia prima?

Ha inciso, ma non certo in modo drammatico. Il 2017 si è chiuso per noi con una buona crescita e il 2018 ci dovrebbe assicurare una nuova variazione positiva, nell’ordine del 10%, per arrivare a 270 milioni di fatturato, un risultato dovuto anche al consolidamento di vari progetti sui mercati internazionali. Se il 2018 resta sotto pressione, con una campagna che vede una riduzione dei volumi trasformati e quotazioni ancora cedenti, si nota anche un giro di boa. La riduzione delle scorte dovrebbe portare, infatti, una tendenza rialzista sul versante del prezzo al consumo. Anche la domanda domestica interna, caratterizzata da una forte penetrazione, da troppe marche, da un’elevata promozionalità e da maturità per i prodotti basici, sta rinvigorendosi, grazie soprattutto ai beni a valore aggiunto, come il biologico, il salutistico in genere e i sughi. Il nostro Consorzio, che presidia senza alcun problema i segmenti più innovativi, sta puntando fortemente sulla valorizzazione della filiera, che per noi è tutta interna, essendo una grande cooperativa di produttori con un numero di associati in crescita.

Dunque la vostra vera ricchezza è la filiera?

È fondamentale perché il consumatore, italiano ed estero, oggi è molto sensibile a chi può garantire, oltre a una completa italianità, il controllo di tutte le fasi, dal campo alla tavola. Per questo la terra, garante della biodiversità, è il vero capitale da preservare e difendere senza compromessi, specialmente per le cooperative che, in quanto tali, non delocalizzeranno mai le produzioni. E la difesa della terra vuol dire anche la difesa del mondo agricolo.

Come si racconta la filiera agli stranieri?

Proprio per raccontare a tutti la filiera, Pomì ha aperto una nuova piattaforma digitale multilingua, rivolta principalmente ai consumatori, ma anche ai professionisti, che permette la gestione centralizzata e ottimizzata di 13 nuovi siti e canali social, tutti raggiungibili anche dalla home page di pomionline.it, che interessano mercati dove il brand è già presente e consolidato e Paesi considerati strategici per lo sviluppo del business. Il progetto permette, nello specifico, la condivisione automatica dei contenuti, ma anche la personalizzazione delle informazioni e dei post a seconda di usi e consuetudini del Paese. Nello specifico la piattaforma, declinata nelle varie lingue nazionali, è operativa in Germania, Austria, Russia, Emirati Arabi, Libano, Bahrain, Giordania, Arabia Saudita, Giappone, Canada e Guatemala, e consolida inoltre la presenza in Italia e Stati Uniti, dove, come abbiamo detto, il marchio ha già una fortissima visibilità.

Oltre all’estero e all’innovazione, che sono per voi due asset fondamentali, quali sono le altre direzioni di sviluppo?

Come abbiamo detto l’entrata in forze nel mondo dei legumi, è una nuova opportunità per i nostri soci. Aggiungo l’ampliamento dei canali. Il gruppo ha cominciato, dopo l’acquisto di Arp-Agricoltori riuniti piacentini, nel 2015, a presidiare l’horeca e il food service. Ora l’acquisto di SAc ci ha conferito un’ulteriore solidità nel fuori casa. La multicanalità e la presenza in molti segmenti sono ulteriori elementi di ripartizione del rischio. Devo anche dire che, in questi anni, abbiamo ampliato e consolidato la massa critica degli associati, che è per noi una garanzia di crescita, un motore che, insieme a un alto livello di investimenti, ci ha portato da un giro d’affari di 30 milioni del 2000 ai 270 milioni del 2018. Il nostro obiettivo futuro è continuare su questa linea, un target realistico in quanto i mercati, per un produttore tutto italiano, sono pieni di opportunità.