La Fao tira le somme sull’andamento delle derrate alimentari. La situazione è grave. Nel 2021 i prezzi hanno toccato un imbarazzante record: l’indice cumulato ha fatto segnare il +28,1% sul 2020.

E, per il 2022, non ci sono speranze di miglioramento, come ha spiegato Abdolreza Abbassian, economista senior della Fao: «Sebbene prezzi elevati lascino, normalmente, il passo a un aumento della produzione e dunque a un potenziale effetto calmiere, in queste circostanze i costi produttivi rimangono su livelli consistenti, la pandemia prosegue e le condizioni climatiche sono sempre più incerte. Dunque, c’è ben poco spazio per l’ottimismo e per un ritorno a una situazione di mercato più stabile».

Nel solo mese di dicembre, però, si è osservata una leggera diminuzione tendenziale, dello 0,9%, dovuta, in particolar modo, alle flessioni degli oli vegetali e dello zucchero, che hanno permesso di sovracompensare il rincaro dei latticini.

Più in dettaglio: per l'intero anno l'indice di prezzo dei cereali ha raggiunto il livello più alto dal 2012, con un rialzo del 27,2% rispetto al 2020. In 12 mesi il mais è salito del 44,1%, il grano del 31,3%, mentre il riso ha perso il 4 per cento.

Peggio ancora per gli oli vegetali che hanno totalizzato il massimo storico, aumentando del 65,8 per cento sul 2020.

Molto distaccato, ma in ogni caso preoccupante, il dato dello zucchero, le cui quotazioni sono salite del 29,8 per cento, toccando il livello più alto dal 2016. Un po’ meglio per le carni, con listini in salita del 12,7 per cento sull’anno 2020.

L'indice Fao dei lattiero-caseari, come detto, è stato l'unico ad aumentare a dicembre, con un +1,8% rispetto a novembre, poiché le quotazioni internazionali del burro e del latte in polvere sono salite, in seguito a un calo della produzione in Europa occidentale e Oceania. Il cumulato dei 12 mesi ha registrato una media del +16,9 per cento.

Da ricordare che, nel 2021, secondo Eurostat, l'inflazione, nell'eurozona, ha toccato i 5 punti, trainata soprattutto dalla componente energetica (+26%). Un po' meglio in Italia, dove il dato annuale dei prezzi al consumo si è piazzato al +4,2 per cento, che scende a un +4 per cento per i beni ad alta frequenza di acquisto.