Privacy e protezione dati: PMI in ritardo sul nuovo regolamento UE
Privacy e protezione dati: PMI in ritardo sul nuovo regolamento UE
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Mancano solo pochi giorni ed entrerà in vigore il GDPR, il Regolamento europeo per la protezione dei dati personali.
Dal 25 maggio chi non si adegua sarà passibile di sanzioni, teoricamente fino a 20 milioni di euro e fino al 4% del fatturato per le violazioni più gravi. Ma è un dato di fatto che molte aziende non siano pronte: «Manca ancora il giusto grado di consapevolezza, in particolare nelle realtà piccole e medie che operano in settori distanti dall’informatica e dalla tecnologia. Alcune addirittura sono convinte che il GDPR non le riguardi, ma è sbagliato: qualsiasi impresa tratta dati personali, a partire da quelli dei dipendenti, fino a quelli di fornitori e clienti». A spiegarlo è Manuel Cacitti, consulente strategico fra i maggiori esperti italiani del settore nonché fondatore e CEO di Securbee, società di Udine che si occupa di servizi di sicurezza informatica nata a fine 2017.
Negli ultimi mesi Securbee, che collabora con una cinquantina di clienti soprattutto nel Nord e Nord-Est, è stata sommersa di richieste da parte di aziende di ogni settore che stanno correndo ad adeguarsi alle nuove regole. Tanto che la società, che al momento conta cinque dipendenti, ha attivato la ricerca di altri tre esperti di IT e di diritto, proprio per far fronte alla crescente domanda di consulenza e servizi nell’ambito della sicurezza e della protezione dei dati.
«Ovviamente chi si è mosso all’ultimo momento non sarà pronto per il 25 maggio, ma non è questo il problema più grave –spiega Cacitti–. È però il momento di cogliere l’occasione per intervenire in un ambito che, se non affrontato con serietà, può compromettere business e competitività». Tra furti di dati, spionaggio e ransomware (cioè quando un computer viene “preso in ostaggio” e viene chiesto un riscatto per ridarne il controllo al proprietario), si stima che in Italia il cybercrimine causi danni per 10 miliardi di euro l’anno (Rapporto Clusit 2018): «E non c’è solo il danno economico diretto –sottolinea Cacitti– ma anche quello reputazionale presso clienti, partner e fornitori che subiscono interruzioni del servizio o scoprono che i dati che li riguardano sono stati persi o trafugati».
La prima cosa da fare per mettersi in regola, quindi, è capire dove si è carenti rispetto al regolamento. Per questo Securbee ha messo a punto un servizio di GDPR Check Assessment che ha l’obiettivo di determinare il grado di conformità di un’organizzazione rispetto a quanto previsto dalla normativa. «Si parte acquisendo informazioni e documenti che aiutano a capire come vengono gestiti i dati personali in azienda –spiega il CEO di Securbee–. Per esempio codici di condotta, informative, documenti programmatici sulla sicurezza, regolamenti interni sull’uso di computer, telefoni, eccetera». Si passa poi alle interviste con responsabili delle varie aree (finanza, amministrazione, IT, HR e direzionale) per verificare le procedure in essere (flusso buste paga, CRM, dati dei dipendenti). Da qui parte l’attività di data mapping che permette di scoprire quanti e quali dati personali ci sono effettivamente nell’organizzazione e come vengono trattati: «Molto spesso l’azienda scopre di gestire dei dati personali che nemmeno sapeva di avere!» commenta Cacitti.
Alla fine della valutazione, Securbee consegna un report di 40-70 pagine sul grado di conformità al GDPR che contiene proposte di miglioramenti, osservazioni e raccomandazioni. Che ha un grande vantaggio: è basato su competenze trasversali (legali, tecnologiche, organizzativo-procedurali). «Abbiamo scelto questo approccio –spiega Manuel Cacitti– perché per il cliente significa meno stress, meno complessità da gestire e risparmio, al contrario di quanto avviene di solito facendo fare valutazioni separate per i vari ambiti». Le informazioni sono organizzate in modo chiaro, anche attraverso dei grafici comprensibili non solo al reparto tecnico dell’azienda, ma a tutto il management. «Perché la sicurezza informatica –conclude Cacitti– è una questione prima di tutto culturale, che richiede consapevolezza e condivisione a ogni livello dell’azienda».
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