Non poteva che essere così. La crisi economica è stata inevitabilmente al centro dei numerosi interventi e dibattiti previsti dal ricco programma convegnistico dell’Incontro Nielsen 2009, svoltosi dal 14 al 17 maggio al Forte Village di Santa Margherita di Pula e giunto alla sua XXV edizione. L’evento (intitolato quest’anno Relazioni virtuose: come cambiano i rapporti nell’economia dell’esperienza) rappresenta da un quarto di secolo gli Stati generali della business community dell’industria di marca e della distribuzione moderna e ha visto in questa edizione la partecipazione di oltre 400 manager in rappresentanza di circa 200 aziende del largo consumo.

Tra i relatori più attesi vi era Jeremy Rifkin, presidente di The Foundation on Economic Trends e consigliere di Obama. Rifkin ha dichiarato che le crisi che ci troviamo ad affrontare in realtà sono tre, tutte strettamente legate tra loro: economica, energetica e climatica. Quest’ultima è la peggiore e può avere conseguenze catastrofiche se non si interverrà rapidamente. Per farlo occorre dare vita a quella che chiama «la terza rivoluzione industriale», che nasca dalla convergenza dell’evoluzione della tecnologia digitale con il mondo dell’energia per avere un’energia (pulita) distribuita. La “visione” di Rifkin è allo stesso tempo affascinante e futuristica. L’energia prodotta da sole, vento, calore nel sottosuolo, biomasse, maree ecc. – prevede - verrà raccolta non in modo centralizzato, ma ovunque essa si trovi. Per riuscirvi sarà fondamentale il settore immobiliare, al fine di trasformare milioni di edifici in altrettante centrali energetiche. Si dovranno inoltre creare sistemi di stoccaggio dell’idrogeno come base di riserva. Infine si dovrà utilizzare la logica del web per mettere in rete l’energia prodotta (e in eccedenza) e renderla disponibile a chiunque. Tutto questo darà potere alle persone e creerà un capitalismo distribuito, un vero processo di sviluppo sostenibile e di globalizzazione.

Andrea Boltho,
docente presso The Magdalen College Oxford, ha invece analizzato le cause della crisi economica e i possibili scanari che ci attendono. Secondo Boltho 4 shock marcoeconomici sono alla base dell’attuale disastro economico: crisi immobiliare che si trasforma in crisi finanziaria, aumento del prezzo del petrolio e di quello delle materie prime. Il fallimento della Lehman Brothers ha fatto il resto, innsecando un effetto panico con crollo della produzione, del commercio e della fiducia delle famiglie a livello mondiale. C’è ora qualche debole segnale di ripresa, conferma Boltho, ma è difficile fare previsioni. Gli “sbocchi” a questo punto sono tre: una grande depressione simile a quella del ’29 (ritenuta però dallo stesso Boltho poco probabile) una lunga stagnazione, o – più verosimilmente - una forte recessione, con una ripresa (a essere ottimisti) a partire dalla seconda metà del 2010.

Per Francesco Daveri, ordinario di economia all’Università di Parma, il nostro paese non è che sia messo meglio degli altri, anche perché i problemi dell’Italia non derivano dalla crisi, ma ne sono accentuati. La causa? Una riduzione di produttività dovuta all’azzeramento del contributo del progresso tecnologico e organizzativo. Dopo il 1995, globalizzazione, digitalizzazione e ingresso nell’euro hanno indotto gli altri paese europei a recuperare efficienza e competitività. L’Italia si è data meno da fare. L’unica via d’uscita, ora, è una maggiore attenzione ai costi e un’accelerazione sul fronte dell’innovazione.

Stefano Galli, ad di Nielsen, è ricorso nel suo intervento alla metafora dei surfisti per descrivere la situazione di fronte a cui si trovano le aziende italiane: «occorre avere non solo coraggio e consapevolezza delle proprie capacità, ma conoscere bene le onde per cavalcarle». All’interno di un’onda lunga (rappresentata dai cambiamenti prodotti da globalizzazione, crescita demografica, tecnologia digitale e ambiente) già di per sé difficile, si è inserita l’onda anomala della crisi economica. Certo – ha osservato Galli -, il largo consumo ha sofferto e soffre meno di altri settori. Ma occorre conoscere cosa succede per uscirne bene. Le famiglie, per esempio, sperimentano nuovi paradigmi di consumo: il 58% è tornato a usare la lista della spesa, il 53% stocca per risparmiare, il 34% ricorre a preparazioni domestiche (pane, pasta ecc.), il 24% fa più uso di confezioni famiglia, il 9% di formati più piccoli. Di più. Il 25% delle circa 800 categorie merceologice esistenti cresce del 5%. «Cavalcare l’onda non è facile, ha concluso Galli, ma può tradursi persino in una opportunità: l’importante è mantenere le proprie strategie con piccoli aggiustamenti di rotta e rendersi unici, riconoscendo i consumatori giusti».

«Nonostante qualche segnale positivo – ha ammesso Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, intervenuta all’Incontro Nielsen in videoconferenza - la strada per tornare ai livelli del 2007 è ancora lunga, complicata e dolorosa». La situazione però permette di cogliere delle opportunità. Uno dei driver di sviluppo – secondo il presidente degli industriali - sarà costituito dagli investimenti nell’area dell’ambiente e dell’energia. Ma soprattutto si dovrebbe approfittare della crisi per effettuare quelle riforme di cui l’Italia ha bisogno, eliminando il peso di lobbies e privilegi. Un reale programma di liberalizzazioni produrrebbe un forte impulso alla crescita. E non solo al settore del commercio.

Relativamente al mondo del largo consumo, Roberto Ravazzoni, docente di economia all’Università di Modena e Reggio, introducendo una tavola rotonda sulle “Relazioni Virtuose” nel mass market ha rilevato che le relazioni tra Idm e Gdo sono, inevitabilmente, sempre più muscolari. Naturalmente vi è anche collaborazione su diversi fronti. Ma «in 20 anni si è fatto poco in termini di miglioramento dei rapporti nella negoziazione». Luciano Sita, presidente di Granarolo, ha ammesso che è inevitabile che ci siano interessi contrapposti, ma «se si definiscono modalità di confronto con regole condivise si potranno migliorare le relazioni e renderle più virtuose per creare valore comune». Dello stesso avviso Oscar Farinetti, creatore di Eataly. «Idm e Gdo – ha affermato - potrebbero avere gli stessi obiettivi creando ricchezza per se stessi e il consumatore». Per riuscirvi però occorre un ingrediente imprescindibile: il rispetto. Rispetto per il produttore (giusto prezzo), per il distributore (meritato da idee innovative in temini di format e offerta) e per il consumatore (informandolo attraverso una comunicazione semplice e basica). Concorde anche Camillo De Berardinis, ad di Conad. «Gli obiettivi della distribuzione e dell’industria – ha dichiarato - sono gli stessi, sono solo diversi i metodi per raggiungerli, complicati da ostacoli legislativi che rendono difficile capire in che “mare” si naviga».