In Italia i consumatori disposti a pagare di più per prodotti sostenibili sono il 52%, in netta crescita dal 44% del 2013 e dal 45% del 2014. A livello mondiale il dato sale al 66%, con un’accelerazione di 11 punti rispetto al 2014 e di 16 sul 2013. In Europa il dato si attesta al 51% (2014, 40%; 2013, 37%).

Sempre in una prospettiva internazionale, le aziende impegnate nella sostenibilità ambientale e sociale hanno fatto registrare quest’anno una variazione positiva del fatturato pari al 4%, a differenza di quelle non “coperte” su questo versante, il cui giro d'affari è incrementato meno dell’1%. Il 65% delle vendite totali nel largo consumo, infine, proviene da marche impegnate nell'ambiente, o nel sociale.

I dati emergono dalla “Nielsen global survey of corporate social responsibility and sustainability”, condotta su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi.

La ricerca è, fra l’altro, un prezioso elemento di riflessione in vista dell’imminente edizione – dal 3 al 6 novembre -, nel quartiere fieristico di Rimini, di Ecomondo, la rassegna delle tecnologie verdi, le cui cifre chiave testimoniano l’enorme interesse per la tematica della green economy: nella passata edizione l’evento ha chiamato a raccolta 1.200 aziende, più di 101.000 visitatori, in crescita dell’8,5% e 350 buyer esteri, su una superficie espositiva di ben 100.000 metri quadrati.

Torniamo ai dati Nielsen. Nei mercati presi in esame le fasce d'età maggiormente propense a pagare di più per la sostenibilità sono i millennial (21-34 anni) e la “generazione Z” (15-20 anni). La prima si posiziona al 73% (+50% rispetto al 2014) e la seconda al 72% (55% lo scorso anno).

Mettendo a confronto la disponibilità finanziaria dei consumatori attenti alla sostenibilità, emerge un dato sorprendente. Infatti sono maggiormente propensi a prezzi un po’ più alti per prodotti sostenibili coloro che guadagnano 20.000 dollari all'anno, rispetto a chi dichiara entrate di 50.000(68% contro 63).

“I consumatori – spiega l'amministratore delegato di Nielsen Italia, Giovanni Fantasia - hanno raggiunto un grado di responsabilità sociale e ambientale determinante anche nel momento dell'acquisto.

“Allo stesso tempo gli acquirenti si aspettano il medesimo impegno da parte dei produttori. Per questo motivo la sostenibilità dei beni di largo consumo è da considerarsi non più solo un valore aggiunto del prodotto e del brand, bensì un requisito essenziale.

“Non si può parlare della sostenibilità come di un semplice differenziale di marketing – conclude Fantasia -. Essere sostenibili comporta per l'azienda il consolidamento della fedeltà alla marca”.

La sostenibilità di un prodotto si declina in diversi fattori, che a loro volta costituiscono altrettanti driver d'acquisto. In Italia, sempre secondo Nielsen, la freschezza e la presenza d’ingredienti naturali/biologici incide per il 61% nel comportamento davanti agli scaffali. Il beneficio salutistico per un altro 53 per cento.

La fiducia nel brand, nella classifica, si posiziona di nuovo al 53%. Al 41% si piazza il fatto che la società produttrice sia eco-friendly, al 38% l’uso di un packaging a basso impatto ambientale, al 33% che il brand sia impegnato nel sociale, al 31% la constatazione che l'azienda abbia un impatto positivo sulla comunità territoriale locale.

L'impegno etico, uno dei vari aspetti della sostenibilità, diventa premiante anche nel messaggio pubblicitario: se il 17% ha acquistato in seguito all'adv televisivo di un prodotto, la percentuale sale al 21% quando la campagna contiene riferimenti alla sostenibilità.

A livello globale la scala dei fattori “sostenibili" che inducono all'acquisto è la seguente: il 62% dichiara di preferire i prodotti di brand di fiducia, il 59% i beni che hanno aspetti salutistici, il 57% sceglie in base alla freschezza e agli ingredienti naturali, il 45% predilige le aziende produttrici sensibili alle istanze ambientali, il 43% le imprese impegnate nel sociale, il 41%, infine, utilizza come parametro il packaging non inquinante.