Nel comparto dei private label si contano oggi oltre 1.200 aziende italiane che lavorano stabilmente per le marche commerciali, per un giro complessivo di affari legato alla vendita di questi prodotti nelle catene del largo consumo pari a circa 4,4 miliardi di euro. Le referenze sono circa 10mila.

Il successo della private label, sebbene in ritardo rispetto ai progressi fatti dalla marca privata nel resto d’Europa, in Italia, dal 2005 ad oggi, si evidenzia nella quota di mercato che è salita di un punto percentuale all’anno, raggiungendo nel primo semestre 2008 una quota del 14,6%. E la crescita ha riguardato tutti i canali distributivi nel 2007 (+9%).

L’incremento maggiore si è registrato negli ipermercati (+13,4%), dove è aumentato lo spazio e il numero di referenze di private label (tessile, casalinghi, detersivi, prodotti alimentari regionali) presenti, a scapito dei prodotti di marca che un tempo primeggiavano negli ipermercati e con vendite trainate da multipack, promozioni e comunicazione instore, visual merchandiser ed hostess.

I supermercati rappresentano, invece, il canale in cui il private label ha raggiunto la massima affermazione: in questo segmento, infatti, la marca privata raggiunge la quota più significativa (14,6%), con una crescita del 12,2%. Il fenomeno della crescita è ravvisabile in tutta Europa, quindi non solo da noi, ed ha origine nella diminuzione della disponibilità di acquisto da parte del consumatore. Soprattutto in Italia questo fenomeno ha portato ad una presa di coscienza: quella del consumatore maturo per porre in essere proprie autonome scelte di acquisto. Questa è la vera novità.

Negli altri Paesi europei la maturità del consumatore era fatto acquisito, il prodotto a marchio d'insegna ha sovente percentuali doppie rispetto alle nostre, e la crescita che noi stiamo vivendo sul comparto non è superiore a quella degli altri Paesi. La vera differenza sta proprio nella presa di coscienza dell’esistenza di un nuovo consumatore. Il risparmio effettivo a vantaggio del consumatore è mediamente stimato nel 25% rispetto ai brand, anche se nei “primi prezzi” si può arrivare fino ad un 75%.

Secondo una ricerca condotta dall’Università degli Studi di Parma nel 2007 gli acquirenti provengono prevalentemente da famiglie con più di 5 componenti o del Nord con un reddito e una cultura medio-alti. L’acquisto non è dettato esclusivamente dal bisogno di risparmiare, ma anche dalla volontà di compiere scelte oculate in termini di qualità,per niente incentivate da pubblicità e promozioni.

Il fenomeno del private label ha assunto proporzioni interessanti (+9,5% nel 2007) nel reparto dei prodotti «freschi e freschissimi» di super e ipermercati. Il latte private label, ad esempio, in Italia detiene una quota a valore del 10% del mercato del latte (con un trend di crescita del 35,2%): presente soprattutto nei segmenti maturi (latte Uht), oggi accresce il suo peso anche nelle nicchie (latte fresco, microfiltrato e alto pastorizzato).

Con ogni probabilità il private label continuerà a crescere. In Italia il peso della marca commerciale è dell’12,2% sul totale del mercato (era del 6,4% dieci anni fa), laddove in Europa è del 22% circa di media, ma con livelli del 30% in paesi come Francia e Spagna, ovvero quelli a noi più assimilabili. La differenza sta nel fatto che nel nostro Paese la ponderata deve essere valutata con la distribuzione organizzata che detiene la quota maggiore di fatturato e che ovviamente fa molta più fatica a organizzare strategie comuni sulla private label.

Andrea Meneghini