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E' la Gdo l'anello debole dell'agroalimentare italiano?

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Redazione

L’agroalimentare italiano si conferma in netta ripresa, con una crescita dalle solide basi, accompagnata da una redditività positiva e da una struttura finanziaria robusta.

Nel 2015, soprattutto grazie al forte sviluppo dell’export, il business è cresciuto del 4,6%, a velocità decisamente superiore rispetto alla nostra economia.

Questi i primi risultati della seconda edizione del ‘Food Industry Monitor 2016’ (che considera i dati aggregati di tutto l’agroalimentare 2009-2015 mentre le cifre dei singoli segmenti fanno riferimento al 2009-2014), l’osservatorio sulle performance delle aziende nazionali del comparto, realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con il supporto della banca svizzera Bsi Europe. Sotto la lente 807 aziende, per 54,8 miliardi di ricavi aggregati, e 13 panieri merceologici.

Il progresso della ‘food industry’ raggiunge livelli ancora superiori, facendo segnare, nel 2015, un +8% rispetto all’anno precedente nella creazione di valore aggiunto, grazie alla capacità di sviluppare prodotti unici, sostenibili e basati su processi innovativi.

Anche i trend degli investimenti materiali - impianti produttivi e logistica - e immateriali - R&S e comunicazione - presentano cifre che scavalcano la norma del Bel Paese.

A livello di segmenti l’Ics (Indice di crescita sostenibile), un indice creato ad hoc che tiene conto della combinazione di ricavi, profitti e indebitamento, rivela subito i best performer.

I distillati (Ics 24), il food equipment (21,9), il caffè (18,8) e, in misura minore, il vino (10,2); seguiono pasta (9,1), dolci (7,7), farine (7) e packaging (5,4), questi ultimi “a metà del guado”. Infine, anche rispetto al 2015, si conferma la difficile situazione del latte (Ics 2,2) e dei salumi (Ics 1,2), che pagano problematiche strutturali.

L’osservatorio 2016 ha mostrato chiaramente che l’industria agroalimentare fa leva – come detto - sull’elevata qualità delle risorse naturali e delle materie prime, ma crea molte altre opportunità attraverso processi produttivi, comunicazione, brand e distribuzione. A partire dal 2012 il valore aggiunto prodotto dalle aziende campionate è cresciuto a tassi sempre più elevati e ha superato il movimento dei ricavi. Nel 2015 la variazione del VA è stata quasi doppia rispetto al fatturato.

Buona la redditività commerciale (Ros), che è passata dal 5% del 2012 al 6,8% dello scorso anno. Anche il rendimento del capitale investito (Roic) mostra una netta ripresa e, nel 2015, supera l’11%, tornando, dopo anni, alla doppia cifra. Il tasso di indebitamento si mantiene stabile per tutto il periodo considerato, attorno al 2,7.

Il confronto con i dati della Gdo italiana prova che lo sviluppo del food è in buona parte riconducibile all'export, dove beneficia anche di nuovi canali. Il retail moderno nazionale, che pure controlla una buona parte delle vendite, ha infatti una redditività molto bassa, con un Ros 2014 dell'1,4%, decisamente inferiore all’indice alimentare (5,9%).

Si può quindi affermare che il grande commercio, probabilmente a causa della contrazione dei consumi interni, è diventato una sorta di “anello debole” del sistema, che deve rinnovare necessariamente i propri modelli di business, ma che, difficilmente, potrà sostenere un forte impegno, dati i margini ridotti.


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