Se la gdo italiana piange, quella tedesca non ride
Se la gdo italiana piange, quella tedesca non ride
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Se Greci, Italiani e Spagnoli piangono, i Tedeschi, a dispetto di una politica internazionale che farebbe pensare il contrario, non ridono di sicuro.
L'indice ZEW sulla fiducia delle imprese, a luglio, è caduto a -19,6, dopo il -16,9 di giugno, segnando il terzo ribasso consecutivo. Frena anche il dato riferito al giudizio delle imprese sullo stato dell'economia: da +33,2 a +21,2.
Due casi recentissimi hanno scosso il mondo germanico della distribuzione. Uno riguarda l’on line. Neckermann, grande protagonista nelle vendite a distanza di prodotti non food, pure attrezzato con un imponente arsenale di siti con un altissimo livello di efficienza e usabilità, per giunta localizzati a seconda delle varie nazioni – Austria, Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Repubblica Ceca, Russia e via citando –, ha dovuto consegnare i bilanci nelle mani del Tribunale di Francoforte per insolvenza.
Il gruppo, già in aprile, aveva annunciato un drastico taglio dei costi del personale, che sarebbe dovuto passare da 2.400 a poco più di 1.000 dipendenti - un piano ancora in discussione con i sindacati -, la liquidazione della consociata specializzata nell’abbigliamento, la chiusura della sede centrale di Francoforte. La forte guerra di prezzo scatenata dai principali competitor – Otto, Quelle, Metro discount – ha condotto a una situazione disperata, tanto disperata che l’azionista di controllo, il fondo americano Sun Capital Partners, ha deciso di non procedere neanche a una ricapitalizzazione.
Dal mondo virtuale a quello reale. La catena di grandi magazzini Karstadt, con sede a Francoforte, ha confessato alla stampa internazionale e nazionale, un progetto veramente draconiano di tagli che prevede innanzitutto, entro il 2014, l’eliminazione di 2.000 posti di lavoro su un totale di 24.400, una misura già da tempo annunciata. “Il provvedimento è tragico, ma necessario – ha dichiarato il direttore generale Andrew Jennings -. Karstadt deve razionalizzare il proprio assetto per restare competitivo e per fare tutti i passi necessari per garantirsi un successo nel lungo termine”.
Già nel 2010 l’insegna aveva rasentato la bancarotta, ma era stata salvata dall’investitore-filantropo Nicolas Berggruen, 51 anni e una doppia cittadinanza tedesca e americana, con l’iniezione di 160 milioni di euro, somma che ha consentito la ristrutturazione di 63 punti di vendita su un totale di 80.
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