I dati Istat di ieri sono così allarmanti, anche se scontati, da essere rimbalzati sulla stampa europea. Dopo una mezz’ora dall’uscita del comunicato ufficiale “Le Figaro”, lanciava già la notizia.

Il calo tendenziale nelle vendite al dettaglio per il mese di dicembre 2013 è stato pari al 2,6%, con l’alimentare a -2,3% e il non alimentare a -2,7%. Segno meno per tutte le formule distributive a eccezione dei discount, che danno uno spunto del +0,7%.  Dall’inizio dell’anno la flessione si attesta al -2,1%, con l’alimentare a -1,1% e il non alimentare a -2,7%.

Dati terribili, quanto scontati, perché nonostante i grandi sforzi per dimostrare che i prezzi non crescono, i prezzi crescono lo stesso, anche se sul versante opposto si delinea un rischio ben peggiore, cioè una profonda deflazione, dovuta sia a una carenza di impieghi, sia di consumi. Pesano i livelli record di tassazione, le varie mini-tasse tattiche inventate dai precedenti governi, la profonda sfiducia degli italiani e degli imprenditori, i continui licenziamenti, l’elevata mortalità delle aziende.

“Nel solo Commercio al dettaglio, nel 2013, abbiamo registrato la cessazione di 46.061 imprese, per un saldo finale di 18.618 unità in meno. Trend estremamente negativo anche per i negozi alimentari, che chiudono l’anno in rosso di 2.055 aziende. In totale, a fine 2013 rimangono 95.667 imprese alimentari, meno di 1,6 ogni mille abitanti”, ha puntualizzato Confesercenti, che prosegue: “L’emorragia di chiusure dei negozi dipende dall’aumento eccessivo della pressione fiscale gravante su imprese e consumi, dall’Iva alle accise, e dalla pesante riduzione del potere d’acquisto dei cittadini a causa della crisi. Non a caso anche la fiducia dei consumatori a febbraio segna il passo per mancanza di prospettive economiche e sociali positive”. Inutile dire che la confederazione conclude con la solita reprimenda nei confronti della deregulation degli orari del commercio. Ma questa è un’altra storia.

“I dati dell’Istat di oggi confermano le preoccupazioni da noi già espresse in precedenti occasioni – afferma dal canto suo Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione -. In primo luogo perché si riferiscono al mese di dicembre, fondamentale per le vendite del commercio. Il forte calo testimonia come neanche il Natale sia stato in grado di modificare il comportamento di freno ai consumi, divenuto ormai consolidato per gli effetti della pesante situazione di crisi economica”.

“In seconda battuta perché l’intero 2013, con il suo calo del 2,1%, si presenta come l’anno peggiore dall’inizio della crisi e come il sesto anno di vendite in riduzione (con la sola eccezione del 2010 che ha fatto segnare un modesto +0,1%) – conclude -. La crisi è ancora una drammatica realtà: le famiglie hanno meno risorse per i consumi e il clima di incertezza sul futuro rallenta ulteriormente gli acquisti”.