L’invasione russa ai danni dell’Ucraina genera effetti pesanti sulle imprese agroalimentari italiane: ma non ci sono solo i gravi problemi di approvvigionamento legati ai cereali o ai semi oleosi, girasole in primis. I danni, naturalmente, colpiscono anche il nostro export.

A lanciare l’allarme sul vino è Nomisma, che sottolinea che, nel 2021, la Russia ha importato made in Italy per un valore di 345 milioni di euro, con una crescita del 18% sul 2020, un fatto che ha reso la nostra nazione la prima fornitrice.

Più ridotti ma fortemente in crescita (+200% negli ultimi cinque anni) anche gli acquisti dell’Ucraina: 56 milioni di euro. In sostanza il flusso in uscita ammonta, a poco più di 400 milioni.

Per Francia e Spagna, gli altri top exporter, il pericolo è più ridotto: 217 milioni di euro per i francesi e 146 per gli spagnoli, vale a dire rispettivamente il 2 e il 5% dell’export enologico.

«I danni più consistenti legati a questa tragica guerra sono riconducibili ad alcune denominazioni e categorie di vini italiani. Nel caso dell’Asti Spumante parliamo della potenziale perdita di un quarto dell’export, così come del 20% delle vendite oltre frontiera di spumanti generici italiani o del 13% di vini frizzanti», commenta Denis Pantini, responsabile agroalimentare e Wine monitor di Nomisma -. È infatti risaputo che i consumatori russi e dell’est Europa prediligono le bollicine».

«Andando a vedere le ricadute sulle altre denominazioni, o tipologie di vini francesi e spagnoli non si riscontrano fenomeni simili: Cava spagnolo, Cremant francesi, o spumanti generici di entrambi i Paesi vendono, in questi due mercati, meno del 2% del relativo export di categoria e lo stesso per i fermi Dop come Bordeaux, Borgogna, Rioja, dove l’incidenza è inferiore all’1 per cento», conclude Pantini.

Anche per i vini fermi Dop italiani, Russia e Ucraina presentano quote marginali sulle relative esportazioni. Quelle più alte si riscontrano per i fermi siciliani a denominazione (8%) e per i bianchi Dop veneti (4%).

Nel caso del Prosecco, prima denominazione italiana esportata nel mondo, il peso di Russia e Ucraina è inferiore al 5 delle vendite oltre confine, anche se va detto che negli ultimi tre anni (in piena pandemia) le vendite erano raddoppiate.