Bernardo Caprotti venderà Esselunga, ma con giudizio e solo a fronte di un serio piano industriale da parte degli acquirenti. Ecco il senso di quanto è emerso ieri, 12 settembre, dal Cda del gruppo distributivo più produttivo d’Italia, grazie a una redditività di poco inferiore ai 16.000 euro al metro quadrato.

Gli americani di Citigroup hanno infatti ricevuto, per ora, solo il mandato di analizzare nei dettagli le offerte presentate dai due mega fondi Blackstone e Cvc. Il primo punterebbe addirittura al 100%, ma il patron non pare intenzionato a cedere più del 60 per cento.

Parliamo di un deal stimato fra i 4 e i 6 miliardi di euro, a seconda degli accordi che verranno presi per gli immobili Esselunga: quelli di proprietà sono ben 83, su un totale di 153 punti di vendita.

Con la delibera di ieri tramonta – salvo colpi di scena - l’ipotesi di una cessione a Walmart, più realistica, o quella, decisamente più fantasiosa, di un passaggio a Carrefour, che del resto ha già, nel nostro Paese, una rete estremamente capillare (circa 1.100 Pdv).

Ricordiamo che l’avventura di Esselunga è partita materialmente nel 1957, quando Caprotti ha affiancato, con una quota del 18%, Marco Brunelli (10%), la famiglia Crespi (16%) e Nelson Rockefeller nella prima impresa italiana della Gdo, denominata “Supermarket” (questa l’insegna, concepita con la “S” allungata dal designer svizzero Max Huber). Il punto di vendita pilota - chiuso dopo 50 anni di attività, il 16 gennaio del 2007 – è stato quello di Milano Viale Regina Giovanna, dove oggi sventola la bandiera di Carrefour.