Caprotti si sfoga sul Corriere. Puntuale arriva la risposta di Pugliese. Questi i fatti. Il patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, ha inviato una lettera al Corriere della Sera (pubblicata ieri mattina sul sito del quotidiano milanese) in risposta a un articolo di Rinaldo Franco Levi in cui Esselunga e lo stesso Caprotti venivano citati, insieme ad Armani e Luxottica, con parole lusinghiere. Dopo i dovuti ringraziamenti e le manifestazioni di modestia, tuttavia, Caprotti ha stigmatizzato in modo quasi rassegnato le innumerevoli difficoltà di fare impresa in Italia e le molte anomalie del mercato italiano del retail. «Per realizzare un punto vendita occorrono mediamente da otto a quattordici anni. Ma per Legnano ventiquattro; mentre a Firenze forse apriremo l’anno prossimo un Esselunga di là d’Arno, un’iniziativa partita nel 1970!» dichiara fuori dai denti Caprotti, sottolineando subito dopo la decisione presa ultimamente dall’azienda di cancellare ogni nuovo progetto. In chiusura il creatore e proprietario di Esselunga fa un riferimento esplicito allo stretto legame che sussiste in Italia tra Grande Distribuzione e politica, richiamando, pur senza nominarli direttamente, i due più grandi operatori nazionali.

La risposta di una delle due catene tirate in causa, Conad, non si è fatta attendere. Il direttore generale Francesco Pugliese, ci ha tenuto a dire la sua inviando stamane una lettera di risposta al direttore del Corsera in cui precisa alcuni punti: «Credo che mancare gli obiettivi prefissati sia un problema più di natura imprenditoriale che politico. E ciò vale per ogni imprenditore del mercato (...)». E rincara: Caprotti «punta il dito esclusivamente conto un “clima politico” che lo ostacolerebbe da decenni, senza rendersi forse conto che in fondo è un alibi per lui che ha visto nascere e finanziato proprio una compagine politica». Pugliese poi smorza i toni: «Di “imprenditori straordinari” – conclude nella lettera al Corriere – ce ne sono ancora oggi e lo stesso Caprotti ne è un esempio; “piccoli” imprenditori che, meno interessati alla finanza, sono l’anima di quel tessuto economico dell’Italia tutta che andrebbe salvaguardato e aiutato per poter portare il Paese fuori dalle sabbie mobili della crisi».