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Aumento Iva: nel cassetto per quasi un altro anno
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Aumento Iva: nel cassetto per quasi un altro anno
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Notte bianca per il Consiglio dei Ministri, impegnato sulla cosiddetta “spending review” un nutrito pacchetto di tagli alla spesa pubblica e alle agevolazioni fiscali per evitare l’applicazione dell’aumento delle aliquote Iva a partire dai primi di ottobre. E in effetti, almeno provvisoriamente visto che il rincaro è rinviato al 30 giugno 2013, le lamentele dei cittadini e di tutto il sistema produttivo hanno finito per prevalere.
Ma cosa, in concreto, è stato evitato? Alla domanda risponde un’interessante ricerca resa nota pochi giorni fa e realizzata da Ref per Centromarca. Secondo le stime il passaggio dal 10% al 12% e dal 21% al 23% delle aliquote Iva avrebbe determinato un aumento medio dell’1,2% dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’1,8% del non alimentare, accompagnato da una flessione dei consumi rispettivamente dello 0,6% e dello 0,9%. Effetti si sarebbero avuti anche sul pil (-0,5%) e sull’occupazione (-0,4%).
Symphony-Iri stima in 900 milioni di euro il gettito fiscale potenziale su base annua che sarebbe dovuto derivare dall’aumento Iva nel solo settore del largo consumo confezionato, con un pesantissimo bilancio sul versante della domanda finale.
I commenti verranno durante la giornata. Per ora l’unico a parlare è stato Sergio Marini, presidente di Coldiretti: “Il vero vantaggio di una spending review “possibile” - ha sottolineato - non è solo nel taglio del personale pubblico che sarà difficile per il costo sociale che ne deriverà, ma nel recupero di almeno 100 giornate di lavoro all’anno che gli imprenditori perdono per stare dietro alle carte e che vale qualche punto di pil. Le procedure di approvazione delle normative a livello nazionale e comunitario poi, si intersecano o si sommano, e i tempi di attesa per i cittadini e le imprese si moltiplicano mentre la burocrazia, sulla quale speriamo possa intervenire la spending review, si moltiplica”.
Ma cosa, in concreto, è stato evitato? Alla domanda risponde un’interessante ricerca resa nota pochi giorni fa e realizzata da Ref per Centromarca. Secondo le stime il passaggio dal 10% al 12% e dal 21% al 23% delle aliquote Iva avrebbe determinato un aumento medio dell’1,2% dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’1,8% del non alimentare, accompagnato da una flessione dei consumi rispettivamente dello 0,6% e dello 0,9%. Effetti si sarebbero avuti anche sul pil (-0,5%) e sull’occupazione (-0,4%).
Symphony-Iri stima in 900 milioni di euro il gettito fiscale potenziale su base annua che sarebbe dovuto derivare dall’aumento Iva nel solo settore del largo consumo confezionato, con un pesantissimo bilancio sul versante della domanda finale.
I commenti verranno durante la giornata. Per ora l’unico a parlare è stato Sergio Marini, presidente di Coldiretti: “Il vero vantaggio di una spending review “possibile” - ha sottolineato - non è solo nel taglio del personale pubblico che sarà difficile per il costo sociale che ne deriverà, ma nel recupero di almeno 100 giornate di lavoro all’anno che gli imprenditori perdono per stare dietro alle carte e che vale qualche punto di pil. Le procedure di approvazione delle normative a livello nazionale e comunitario poi, si intersecano o si sommano, e i tempi di attesa per i cittadini e le imprese si moltiplicano mentre la burocrazia, sulla quale speriamo possa intervenire la spending review, si moltiplica”.
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