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Nielsen: cresce la fiducia dei consumatori italiani

Nielsen: cresce la fiducia dei consumatori italiani
Nielsen: cresce la fiducia dei consumatori italiani

Nielsen: cresce la fiducia dei consumatori italiani

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Redazione

La fiducia dei consumatori italiani nel quarto trimestre 2018 continua a crescere, arrivando a quota 70 punti, marcando un incremento di 1 punto rispetto al trimestre precedente.

In crescita anche su base tendenziale (+2 punti).

Su base trimestrale anche la media Mondo è in aumento (+1 punto, da 106 a 107), cala invece di tre punti la media del continente europeo (si ferma a 84 punti). In particolare, è risultato compromesso l’indice di fiducia dei consumatori francesi, che perde ben 13 punti rispetto al trimestre precedente, e 15 rispetto allo stesso periodo 2017.

La fiducia dei consumatori, rispetto al periodo luglio/settembre cala anche in Regno Unito (-4 punti, da 102 a 98), in Spagna (-3 punti, da 97 a 94) e in Germania (-2 punti, da 106 a 104). I numeri di questi Paesi sono però in linea con l’indice registrato alla fine del 2017. I dati emergono dalla Conference Board Global Consumer Confidence Survey svolta in collaborazione con Nielsen su base trimestrale.

La propensione al consumo cresce di 2 punti percentuali (arrivano quindi al 27% quanti ritengono sia il momento giusto per fare acquisti). Parallelamente sale, dal terzo al quarto trimestre 2018, la percentuale di chi è positivo riguardo lo stato delle proprie finanze (33%, +1pp) e, se aumenta il numero di persone che ritiene che il Paese sia in recessione (79%, +1pp), sono in incremento anche coloro che credono che si uscirà dalla recessione nel 2019 (21% vs. 15% nel trimestre precedente, e 11% nel Q4 2017).

Fa registrare un aumento, però, la percentuale di italiani che adottano misure per risparmiare: sono il 56%, +3pp rispetto al trimestre precedente. Le principali voci di riduzione delle spese riguardano i pasti e l’intrattenimento fuori casa (indicati come possibile taglio rispettivamente dal 59% e dal 56% dei rispondenti), l’abbigliamento (54%) e i prodotti alimentari (il 39% passa/passerebbe a marchi più economici).

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