di Maria Teresa Giannini e Luca Salomone

Con una sede principale a Milano, in zona Famagosta, e un hub operativo a Gessate (MI), Pax Italia è un fornitore di pos e dispositivi di pagamento attualmente leader in Italia, mercato trainante in quanto a referenze, nonché uno dei 5 big in Europa. Si tratta di un facilitatore tecnologico, che non interviene nelle transazioni dal punto di vista finanziario e si occupa, invece, anche della manutenzione software.

L’azienda nasce nel 2013, su iniziativa di tre soci italiani, per fare fronte alle difficoltà di cash flow nazionali, ma nel 2015 alcune quote della società vengono cedute a nuovi soci cinesi, ottenendo così la stabilità finanziaria richiesta dal mercato e portando Pax a scalzare rapidamente il secondo player di mercato di allora.

Attiva anche all’estero per i servizi di e-corporate, che gestisce nelle 3 regioni di America, Asia Pacifico e Oceania, nel 2022 Pax ha certificato 25 prodotti, un primato assoluto per un solo anno. Dell’azienda e della sua evoluzione ci parla Andrea Zucchiatti, General Manager e co-fondatore.

Quali sono le cifre chiave del vostro primo decennio?

Abbiamo registrato costantemente un incremento del 30% annuo, sia sui volumi sia sul fatturato, pari a 49 milioni di euro nel 2022, tranne che nel 2019-2020. Anche quest’anno prevediamo un risultato importante. In Italia abbiamo superato la quota del milione di terminali installati, cioè oltre il 50% del parco. Quando io e Se Ho Park, Ad e co-fondatore, abbiamo creato Pax Italia, il massimo a cui ambivamo era un secondo posto, con il 20-30% della quota di mercato. Non immaginavo che saremmo potuti diventare i leader di mercato, certo non con questi volumi e queste tempistiche. Negli anni, inoltre, l’azienda è diventata anche centro servizi Enmea per l’erogazione di sicurezza per altre nazioni, per esempio per i ‘Nordics’ e i Paesi anglosassoni.

Cosa è cambiato a livello tecnologico dal 2013 a oggi?

Quando l’azienda è stata costituita c’era maggiore frammentazione degli operatori di mercato. E tuttavia il settore dei pagamenti, soprattutto in Europa e Usa, era appannaggio di due società, una francese e una americana, con pochi e piccoli outsider, mentre le aziende cinesi vendevano quasi esclusivamente sul proprio territorio. Nel 2015, ci occupavamo di terminali di largo consumo (pos da tavolo, da banco e portatili). A fine 2017 sono stati introdotti, invece, i terminali Smartpos con tecnologia Android: da allora abbiamo avviato una politica di sensibilizzazione dei clienti, persuadendoli del fatto che è meglio spendere un po’ più all’inizio per acquisire una serie di vantaggi, come le app Android e la gestione remota dei terminali.

Come ha risposto il mercato?

Negli ultimi anni il mercato ha cercato di portare su prezzi più bassi i terminali entry level, per incentivare quella migrazione al digitale che Oltralpe e nei Paesi nordici è avvenuta con semplicità. In Italia invece c’è stata una resistenza notevole. Abbiamo condotto, come le dicevo, una campagna di sensibilizzazione e una campagna marketing e i clienti hanno percepito, sul lungo periodo, i veri benefici, guardando i propri conti economici: si pagava un prezzo d’ingresso più elevato, ma i vantaggi poi si vedevano. Infine, il 2021-22 ha segnato definitivamente il superamento della quota Android sui terminali più basici e di tipo legacy.

Da cosa deriva la superiorità di Android?

Con Android è più facile effettuare la diagnostica in remoto, aspetto che migliora la gestione dei costi. Inoltre, su questi terminali è più agevole installare altre applicazioni business, che portano valore aggiunto al consumatore nel punto vendita e maggiore guadagno all’esercente e al fornitore di periferiche.

Quali sono per voi i settori traenti?

Citerò solo il mondo del fashion, che sta “virando” sui terminali Android e anche il settore dei carburanti. Ma da un punto di vista delle possibili evoluzioni di mercato devo dire che ci saremmo aspettati molto di più, dalla domanda, sul fronte delle soluzioni di pagamento senza stampante. Per esempio, sarebbe rilevante la digitalizzazione dello scontrino, con dispositivi che somiglino molto di più a uno smartphone. Ma, alla prova dei fatti, questi prodotti non sono decollati, almeno per ora.

Come si comporta la Gdo quanto a recepimento della tecnologia Android?

Il mondo della grande distribuzione è ancora un contesto in cui il dispositivo di pagamento viene concepito come una semplice ‘periferica di pagamento’, fatto che, sommato alle frequenti problematiche di rete nei vari punti vendita, non porta a beneficiare, o ad ambire alla piena funzionalità nei terminali Android. E quindi, in questo caso, abbiamo ancora molto lavoro da fare, per rendere appetibile una tecnologia migliore. Per sopperire, stiamo introducendo Q-25 che è una Retail PinPad tradizionale, ha una fotocamera, è velocissima, monta un software estremamente stabile e, nell’aspetto, grazie allo schermo touch, è attraente.

Misure recenti come lo scontrino digitale e il cash back hanno influito sullo sviluppo dei pagamenti digitali?

A me sembra che queste misure abbiano più che altro avuto una eco mediatica. Quando è scoppiata l’emergenza Covd-19, si parlava ovunque di pagamenti elettronici e di pagamenti in app. Invece c’è stato un certo ostruzionismo nei confronti della tecnologia, un atteggiamento che definirei anacronistico. Parlando in generale, non so per quanto tempo i pos, come li conosciamo oggi, esisteranno ancora. Certo è difficile immaginare negozi privi di un apposito dispositivo di pagamento, ma forse in futuro il piccolo esercente userà uno smartphone.