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Fattoria Scaldasole, il valore del pionierismo

Fattoria Scaldasole, il valore del pionierismo
Fattoria Scaldasole, il valore del pionierismo

Fattoria Scaldasole, il valore del pionierismo

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Luca Salomone

di Luca Salomone

Fattoria Scaldasole, fondata nel 1987 dall’imprenditore milanese Marco Roveda, mantiene sempre alta la bandiera di antesignana del biologico e biodinamico.

Acquisita, nel 2004, dal gruppo familiare francese Andros (2,4 miliardi di fatturato nel 2019) - sinonimo, fra l’altro di Bonne Maman - in Italia ha totalizzato, nel 2021, cento milioni di euro, grazie ai due stabilimenti di Monguzzo (Como) e di Ossona (Milano metropolitana). Il suo core business è incentrato su latte, yogurt, spremute fresche, rigorosamente biologiche.

Cosa significa, oggi, essere pionieri di un settore che, negli anni, è balzato sempre più al centro dell’attenzione? A risponderci è la marketing manager, Antonella Aufiero.

È una bella responsabilità essere anticipatori. Non pensa?

Più che altro è una bella soddisfazione avere intuito, negli anni Ottanta, quando ancora il sentire comune ne era ben lontano, l’importanza della sostenibilità. E ancora adesso abbiamo uno zoccolo duro di consumatori fedelissimi e della prima era, che riconoscono questo primato. Posso dire che Scaldasole è riuscita a cambiare le regole del gioco, facendo capire che, ai beni di consumo, si può chiedere molto.

E oggi?

Oggi il biologico è diventato molto diffuso e se ne sono appropriate imprese, nazionali e multinazionali, che hanno anche prodotti convenzionali, dunque lontane da un’ottica di specializzazione. La competizione è forte, anche da parte dei retailer, che hanno tutti, chi più chi meno, una propria linea di alimenti bio. Sicuramente noi ci distinguiamo per un prodotto di fascia alta, con un prezzo che, per quanto abbordabile – parliamo pur sempre di generi alimentari di massa - è più elevato della media. Questo può essere, a seconda dei momenti storici e dei target, un vantaggio o uno svantaggio, ma resta una peculiarità, che ci rende speciali.

Ma un gap di prezzo non dovrebbe essere un ostacolo?

Sicuramente è una variabile relativa e che va giustificata con la qualità. Il biologico è per noi un must, l’unico modo di produrre, sul quale non accettiamo compromessi sia che si tratti di prodotti lattieri che di spremute fresche. A questa scelta corrispondono programmi di sostenibilità più ampi, per esempio sul packaging: da oltre dieci anni adottiamo vasi accoppiati con una percentuale minima di plastica (il solo foglio a contatto con il prodotto), avvolta completamente da materie prime cartacee. Ma stiamo andando oltre, per arrivare al cento per cento di carta. Il latte dei nostri yogurt bianchi, i prodotti più iconici della nostra offerta, proviene da fattorie non solo biologiche, ma anche biodinamiche. E ancora: le fattorie con le quali collaboriamo sono poche, relativamente piccole e del territorio: dunque sicure, selezionate, logisticamente sostenibili e capaci di creare, con noi, un sistema di filiera.

Canali commerciali: quali sono le vostre scelte?

La Gdo è, per Scaldasole, il canale per eccellenza, polarizzando il 90% delle vendite. La Dmo, del resto, è il luogo di acquisto preferito dal vasto pubblico e quello che assicura un vero impatto in termini di immagine. Gli specializzati sono indubbiamente degni di nota, ma non sempre trattano brand presenti nel mass market.

Altri interlocutori?

Interessante e in crescita è, per noi, il mondo del food service. Secondo molti sarebbe un terreno difficile, in quanto i marchi non riescono ad arrivare sotto gli occhi del consumatore. Ma questo è meno vero per Scaldasole, che produce freschi confezionati, in formati relativamente piccoli. Questo ci permette di lavorare bene, e con buoni ritorni di notorietà, anche con la ristorazione collettiva. Le mense chiedono sempre di più, nei propri capitolati di appalto, anche prodotti bio, privi di conservanti e additivi, sostenibili e locali. Superato l’impatto del Covid e, soprattutto della didattica a distanza, il canale si sta riprendendo e le prospettive ci sono.

E il canale alimentare selettivo, come per esempio Eataly?

Ci interessa molto e se non abbiamo ancora approcciato Eataly, stiamo invece lavorando con altri soggetti. Abbiamo esperienze recenti e promettenti con e-retailer che puntano su sostenibilità e qualità e i cui clienti sono spesso simili ai nostri e propensi a dare valore a genuinità e storicità dei prodotti, oltre che avvezzi ad acquistare cibi e bevande di fascia premium.

Freschi e pandemia. Un matrimonio difficile?

Come tutti anche noi siamo stati toccati, ma abbiamo beneficiato di forme di compensazione. Mi spiego. Se il bio e il fresco, in generale, hanno sofferto di più, Teddi, ancora una volta, è stato il nostro punto di forza, decisamente anticiclico. La maggiore permanenza dei bambini in casa ha fornito occasioni in più per consumare lo yogurt come merenda o spuntino. Lo stesso per le spremute fresche, che hanno realizzato volumi anche per noi sorprendenti, considerando pure che le persone, avendo tempo, hanno preparato molto spesso da sé quelle bevande che si prestavano, come, appunto, le spremute. E non sono solo aumentati i pezzi venduti, ma anche il numero delle nostre famiglie clienti.

Siamo in piena inflazione. Qui vede un rischio?

Indubbiamente i rincari delle materie prime e dei carburanti e, dunque, della logistica non fanno bene a nessuno. Il nostro è un prodotto mediamente più costoso di quelli classici e potrebbe esserci una contrazione. In tutto questo però gioca a nostro vantaggio la filiera italiana e corta, che abbatte i prezzi dei trasporti. C’è poi una scarsità di frutta in genere, dovuta alle gelate della scorsa primavera. Ma essere parte del mondo Andros ci assicura una corsia preferenziale.

Al netto della congiuntura, qual è il vostro mercato più dinamico?

Sicuramente le spremute, almeno nel Nord Italia, visto che al Sud il consumo di questo prodotto è ancora basso. L’elemento di punta è il succo di arance rosse e bionde. Il mercato dello yogurt, al contrario, è piuttosto statico per tutti gli operatori. Ma, ancora una volta, Teddi si distingue, anche in presenza di uno strutturale calo delle nascite. E vanno forte le novità, come lo yogurt Teddi on the go in confezione pouch (da spremere), lanciato lo scorso anno. Ora siamo entrati in un altro sotto segmento, quello del kefir con un’offerta più tradizionale, al cucchiaio, ma anche nel pratico e innovativo formato “on the go”, 100% riciclabile.

Qualche parola sul vostro marketing…

Con Teddi abbiamo in attivo da anni operazioni di collaborazione con le scuole materne nell’ambito dell’educazione al rispetto per la natura e occasioni di condivisione con i pediatri. Più in generale contano molto i social, che seguiamo di continuo per rispondere alle molte curiosità dei consumatori in materia di biologico, corretti stili alimentari, ricette e tanto altro. E poi il trade marketing: nei punti vendita facciamo dimostrazioni con assaggi di prodotto, un’attività che, purtroppo, si è molto ridotta, negli ultimi anni, a causa del Covid.

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