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Gli ambiziosi obiettivi di Bud
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Gli ambiziosi obiettivi di Bud
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Presente da quasi vent’anni nel nostro paese, Budweiser si è ritagliata uno spazio crescente nel mercato italiano della birra e punta oggi a occupare la terza posizione tra i marchi scelti dal target dei 18-24enni. La redazione di DM ne ha parlato con Gianmarco Laviola, country manager Italy del brand americano.
State per raggiungere il traguardo dei vent’anni di presenza in Italia. Ci può ricordare le tappe più significative della storia di Budweiser nel nostro paese?
Abbiamo fatto il nostro ingresso alla fine degli anni Ottanta, sulla spinta di una crescente domanda proveniente sia dai turisti che, soprattutto, dai militari americani di stanza nelle basi Nato. Negli Usa, infatti, Budweiser è un marchio molto noto e leader di mercato: ogni due birre vendute una è del Gruppo Anheuser Busch, di cui Budweiser fa parte. E’ solo dall’inizio degli anni ’90, però, che si è pensato di porre le basi per un vero e proprio sviluppo industriale. Così si è fatto un accordo con Birra Peroni Industriale per produrre su licenza e distribuire Budweiser in Italia. Nel 2003, tuttavia, Birra Peroni Industriale è stata acquistata dal gruppo sudafricano Sab Miller. E’ stata quindi presa la decisione di stringere un accordo con Heineken Italia, che oggi produce e distribuisce il nostro brand su licenza.
Qual è il motivo che vi ha indotto a scegliere proprio Heineken quale vostro nuovo partner?
Una semplice logica competitiva. Heineken è il gruppo leader nel mercato italiano della birra. Con il Gruppo Heineken, tra l’altro, la partnership in Italia ha rappresentato il primo accordo a livello internazionale. Un esperimento che ha avuto successo e che è stato replicato in molti altri paesi, tanto che oggi Heineken produce e distribuisce Budweiser in Russia, nelle Canarie, e a Panama.
Lei parla di un esperimento di successo. Ma la collaborazione con il Gruppo Heineken in Italia che risultati ha portato?
Con Heineken Italia è iniziata una strategia di sviluppo del nostro marchio che ha prodotto e sta producendo ottimi risultati. Da quando ha preso vita la collaborazione, la nostra crescita si è mantenuta costante e a doppia cifra. Attualmente siamo nelle prime 5 marche in termini di awareness. Se si parla di volumi, certamente, c’è ancora molto da fare. Va meglio però sul piano del fatturato. Budweiser si posiziona infatti come prodotto premium price. Sul piano distributivo l’horeca si ritaglia il 55% e il modern trade il restante 45%. Il nostro obiettivo è di crescere un po’ più rapidamente nel primo canale fino a giungere a un rapporto di 60-40. Ma i nostri traguardi sono molto ambiziosi. Intendiamo essere nel giro di un anno o poco più tra i primi tre marchi scelti dai 18-24enni in Italia. Questo significa sensibile aumento dei volumi, della distribuzione, pianificazione promozionale più coerente con il target e utilizzo di strumenti di marketing più affini ai nostri consumatori.
Perché, non state facendo abbastanza?
Tutt’altro. Il fatto è che la dinamica competitiva è di anno in anno più accesa e occorre trovare sempre nuovi strumenti e soluzioni per distinguersi.
Su cosa state puntando attualmente?
Budweiser vive molto di immagine. Ormai sono famose le sue “icone”: la bottiglia marrone scuro, l’etichetta inconfondibile, il logo a farfallino (“bowtie” come lo chiamano gli americani). Nel mondo Budweiser è il prodotto bigger spender per sponsorizzazioni sportive. Si associa a tutti gli eventi internazionali sportivi di massa, dalla coppa del mondo di calcio alle olimpiadi. Riconosce del resto il suo target primario di comunicazione nei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni e di consumo ta i 18 e i 35 anni. Non è un caso, dunque, che in Italia negli ultimi quattro anni ci siamo associati al mondo dei boardsport (snowboard in inverno, surf da onda e windsurf in estate ecc.), sport emergenti, considerati molto di tendenza tra i giovani. Ma anche in tutte le promozioni che facciamo, tanto in gdo che nell’horeca, cerchiamo sempre di avere un taglio innovativo e distintivo rispetto alla concorrenza. In linea con il target al quale ci rivolgiamo, inoltre Budweiser sta facendo già da qualche anno ricorso a nuovi mezzi, come internet, wap, marketing virale e guerrilla marketing.
E per il 2008?
Per il 2008 abbiamo dei piani aggressivi, sia above che below the line. Continueremo a investire in comunicazione, tenendo presente il potere di innovazione che ormai viene riconosciuto al brand. Nel 2007, per la prima volta da quando Bud è in Italia, abbiamo realizzato uno spot tv appositamente per il mercato italiano, dedicato allo snowboard. Nel 2008 abbiamo in piano di ricorrere a mezzi e messaggi innovativi. E’ prevista inoltre una importante consumer promotion, dopo il grande successo di quella del 2006 che aveva messo in palio dieci pacchetti per assistere alla finale del campionato mondiale di calcio in Germania
Avete dato vita a iniziative particolari in gdo?
Intanto va ricordato che dal 2004 siamo presenti nel modern trade anche con un formato dedicato da 66 cl che ci sta dando grosse soddisfazioni, con crescite del 50% anno su anno. Birra buona e bottiglia bella a parte, la referenza assicura un margine interessante alla distribuzione perché ha un posizionamento premium price, con un differenziale di prezzo del 45% circa più alto rispetto alle birre standard. lavoriamo molto inoltre sul fronte della visibilità e dell’in store promotion. Nel primo caso abbiamo realizzato nel 2007 un range di espositori che sfruttavano l’associazione con i board sport. Insieme a Heineken Italia poi abbiamo creato un piccolo espositore che sfrutta la possibilità di un utilizzo cross category, da usare quindi vicino quindi alla gastronomia o ad altri reparti. Sempre in termini di visibilità abbiamo utilizzato da maggio, in via sperimentale, delle frigovetrine a colonna che normalmente vengono utilizzati solo nell’horeca: i primi risultati sono molto interessanti.
Qual è, secondo lei, il punto di forza dell’offerta Budweiser alla distribuzione moderna?
Oltre alla qualità del prodotto e al supporto marketing, la nostra azienda cura molto gli aspetti logistici. Ciò che ci distingue dai concorrenti è il focus sul sell out. Emblematica è una nostra policy interna che indica come tempo massimo di sell out del prodotto 110 giorni dall’imbottigliamento. Questo fa sì che prestiamo molta attenzione alla supply chain per consentire al consumatore di poter disporre di un prodotto sempre fresco: la birra, infatti, più è fresca e più è buona. Riduciamo pertanto al minimo tutti i passaggi della supply chain fino allo scaffale e una volta arrivata lì ci preoccupiamo che il prodotto ruoti velocemente attraverso iniziative di merchandising.
Un’ultima domanda: che cos’ha la birra Budweiser di speciale rispetto alle altre?
Budweiser è una birra che vanta lunghe tradizioni. E’ nata nel 1876 e possiede caratteristiche esclusive che non a caso l’hanno resa la birra più bevuta al mondo. E’ una lager molto beverina, dissetante, ed è per sua struttura e per scelta di posizionamento non impegnativa né amara, caratteristiche che la rendono bevibile in qualsiasi occasione. Il processo produttivo, inoltre, si distingue per essere il più costoso di tutte le lager industriali, per avere tra gli ingredienti il riso e per il beechwood aging, una particolare fermentazione in vasche con trucioli di faggio che rende il gusto della birra ancora più aromatico e fruttato.
State per raggiungere il traguardo dei vent’anni di presenza in Italia. Ci può ricordare le tappe più significative della storia di Budweiser nel nostro paese?
Abbiamo fatto il nostro ingresso alla fine degli anni Ottanta, sulla spinta di una crescente domanda proveniente sia dai turisti che, soprattutto, dai militari americani di stanza nelle basi Nato. Negli Usa, infatti, Budweiser è un marchio molto noto e leader di mercato: ogni due birre vendute una è del Gruppo Anheuser Busch, di cui Budweiser fa parte. E’ solo dall’inizio degli anni ’90, però, che si è pensato di porre le basi per un vero e proprio sviluppo industriale. Così si è fatto un accordo con Birra Peroni Industriale per produrre su licenza e distribuire Budweiser in Italia. Nel 2003, tuttavia, Birra Peroni Industriale è stata acquistata dal gruppo sudafricano Sab Miller. E’ stata quindi presa la decisione di stringere un accordo con Heineken Italia, che oggi produce e distribuisce il nostro brand su licenza.
Qual è il motivo che vi ha indotto a scegliere proprio Heineken quale vostro nuovo partner?
Una semplice logica competitiva. Heineken è il gruppo leader nel mercato italiano della birra. Con il Gruppo Heineken, tra l’altro, la partnership in Italia ha rappresentato il primo accordo a livello internazionale. Un esperimento che ha avuto successo e che è stato replicato in molti altri paesi, tanto che oggi Heineken produce e distribuisce Budweiser in Russia, nelle Canarie, e a Panama.
Lei parla di un esperimento di successo. Ma la collaborazione con il Gruppo Heineken in Italia che risultati ha portato?
Con Heineken Italia è iniziata una strategia di sviluppo del nostro marchio che ha prodotto e sta producendo ottimi risultati. Da quando ha preso vita la collaborazione, la nostra crescita si è mantenuta costante e a doppia cifra. Attualmente siamo nelle prime 5 marche in termini di awareness. Se si parla di volumi, certamente, c’è ancora molto da fare. Va meglio però sul piano del fatturato. Budweiser si posiziona infatti come prodotto premium price. Sul piano distributivo l’horeca si ritaglia il 55% e il modern trade il restante 45%. Il nostro obiettivo è di crescere un po’ più rapidamente nel primo canale fino a giungere a un rapporto di 60-40. Ma i nostri traguardi sono molto ambiziosi. Intendiamo essere nel giro di un anno o poco più tra i primi tre marchi scelti dai 18-24enni in Italia. Questo significa sensibile aumento dei volumi, della distribuzione, pianificazione promozionale più coerente con il target e utilizzo di strumenti di marketing più affini ai nostri consumatori.
Perché, non state facendo abbastanza?
Tutt’altro. Il fatto è che la dinamica competitiva è di anno in anno più accesa e occorre trovare sempre nuovi strumenti e soluzioni per distinguersi.
Su cosa state puntando attualmente?
Budweiser vive molto di immagine. Ormai sono famose le sue “icone”: la bottiglia marrone scuro, l’etichetta inconfondibile, il logo a farfallino (“bowtie” come lo chiamano gli americani). Nel mondo Budweiser è il prodotto bigger spender per sponsorizzazioni sportive. Si associa a tutti gli eventi internazionali sportivi di massa, dalla coppa del mondo di calcio alle olimpiadi. Riconosce del resto il suo target primario di comunicazione nei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni e di consumo ta i 18 e i 35 anni. Non è un caso, dunque, che in Italia negli ultimi quattro anni ci siamo associati al mondo dei boardsport (snowboard in inverno, surf da onda e windsurf in estate ecc.), sport emergenti, considerati molto di tendenza tra i giovani. Ma anche in tutte le promozioni che facciamo, tanto in gdo che nell’horeca, cerchiamo sempre di avere un taglio innovativo e distintivo rispetto alla concorrenza. In linea con il target al quale ci rivolgiamo, inoltre Budweiser sta facendo già da qualche anno ricorso a nuovi mezzi, come internet, wap, marketing virale e guerrilla marketing.
E per il 2008?
Per il 2008 abbiamo dei piani aggressivi, sia above che below the line. Continueremo a investire in comunicazione, tenendo presente il potere di innovazione che ormai viene riconosciuto al brand. Nel 2007, per la prima volta da quando Bud è in Italia, abbiamo realizzato uno spot tv appositamente per il mercato italiano, dedicato allo snowboard. Nel 2008 abbiamo in piano di ricorrere a mezzi e messaggi innovativi. E’ prevista inoltre una importante consumer promotion, dopo il grande successo di quella del 2006 che aveva messo in palio dieci pacchetti per assistere alla finale del campionato mondiale di calcio in Germania
Avete dato vita a iniziative particolari in gdo?
Intanto va ricordato che dal 2004 siamo presenti nel modern trade anche con un formato dedicato da 66 cl che ci sta dando grosse soddisfazioni, con crescite del 50% anno su anno. Birra buona e bottiglia bella a parte, la referenza assicura un margine interessante alla distribuzione perché ha un posizionamento premium price, con un differenziale di prezzo del 45% circa più alto rispetto alle birre standard. lavoriamo molto inoltre sul fronte della visibilità e dell’in store promotion. Nel primo caso abbiamo realizzato nel 2007 un range di espositori che sfruttavano l’associazione con i board sport. Insieme a Heineken Italia poi abbiamo creato un piccolo espositore che sfrutta la possibilità di un utilizzo cross category, da usare quindi vicino quindi alla gastronomia o ad altri reparti. Sempre in termini di visibilità abbiamo utilizzato da maggio, in via sperimentale, delle frigovetrine a colonna che normalmente vengono utilizzati solo nell’horeca: i primi risultati sono molto interessanti.
Qual è, secondo lei, il punto di forza dell’offerta Budweiser alla distribuzione moderna?
Oltre alla qualità del prodotto e al supporto marketing, la nostra azienda cura molto gli aspetti logistici. Ciò che ci distingue dai concorrenti è il focus sul sell out. Emblematica è una nostra policy interna che indica come tempo massimo di sell out del prodotto 110 giorni dall’imbottigliamento. Questo fa sì che prestiamo molta attenzione alla supply chain per consentire al consumatore di poter disporre di un prodotto sempre fresco: la birra, infatti, più è fresca e più è buona. Riduciamo pertanto al minimo tutti i passaggi della supply chain fino allo scaffale e una volta arrivata lì ci preoccupiamo che il prodotto ruoti velocemente attraverso iniziative di merchandising.
Un’ultima domanda: che cos’ha la birra Budweiser di speciale rispetto alle altre?
Budweiser è una birra che vanta lunghe tradizioni. E’ nata nel 1876 e possiede caratteristiche esclusive che non a caso l’hanno resa la birra più bevuta al mondo. E’ una lager molto beverina, dissetante, ed è per sua struttura e per scelta di posizionamento non impegnativa né amara, caratteristiche che la rendono bevibile in qualsiasi occasione. Il processo produttivo, inoltre, si distingue per essere il più costoso di tutte le lager industriali, per avere tra gli ingredienti il riso e per il beechwood aging, una particolare fermentazione in vasche con trucioli di faggio che rende il gusto della birra ancora più aromatico e fruttato.
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