“Il mercato cosmetico italiano chiude il 2010 con dinamiche sostenute grazie alla significativa ripresa delle esportazioni, alla tenuta dei consumi del canale farmacia e alla crescita superiore alla media del canale erboristeria”: così Unipro, l’associazione delle imprese del settore aderente a Confindustria, descrive lo scenario congiunturale nello studio appena elaborato.

A fine anno il mercato italiano tocca i 9.300 milioni di euro con una crescita attesa intorno all’1,3%. La farmacia vale 1.500 milioni (+2,9%) e l’erboristeria 350 milioni (+5%). Di 3.800 milioni (stabile) è invece il valore della Gdo, di 2.300 milioni quello della profumeria (+0,5%), di 200 milioni (+2%) quello dei centri estetici e di 700 milioni (stabili) il valore dei saloni d’acconciatura che hanno perso lo slancio dei primi mesi dell’anno.

L’export è a oltre 2.200 milioni, con un attivo della bilancia commerciale del settore a quota 700 milioni. In seguito ai trend positivi del mercato interno e delle esportazioni, il fatturato delle industrie italiane supererà a fine anno gli 8.350 milioni di euro (+3,1%). Unipro stima in crescita anche il 2011, nonostante le nubi di incertezza che gravano sull’economia internazionale e sulle opzioni d’acquisto dei consumatori italiani. Di questo e altro abbiamo parlato con Fabio Franchina, presidente di Unipro.

Nel presentare la vostra indagine lei si è mostrato preoccupato per i tanti senza lavoro, ma moderatamente ottimista sui consumi. Come mai?
È vero che la disoccupazione colpisce tutto il mondo, tolto qualche paese più fortunato degli altri, ma il cosmetico non è solo un bene voluttuario. Inteso nel suo significato più ampio comprende pure saponi, dentifrici, shampoo. Insomma, prodotti dei quali è ormai impossibile fare a meno e quindi uno zoccolo duro di vendite è destinato a tenere.

Per quanto riguarda i canali, la Gdo risulta stabile. Ma allora dove compra chi comunque deve stare attento alla spesa?
Sì, il consumatore s’è fatto attento, sa valutare e confronta i prezzi che spesso sono il frutto di promozioni anche nelle profumerie e nelle farmacie apertesi al prodotto cosmetico. Ecco dunque che si va magari al supermercato per uno shampoo, in profumeria per un colorante e in farmacia per un detergente intimo, senza farsi problemi a spendere di più per un prodotto dalla qualità superiore e come tale riconosciuto. Il concetto di price for value si è affermato in maniera solida in questi comportamenti d’acquisto.

Comportamenti che però avranno subito qualche altra modifica in questi anni di crisi. Ce n’è qualcuna particolarmente importante?
Sì, il passaggio della spesa per la colorazione dei capelli dal salone d’acconciatura al canale domestico. In sostanza molte donne hanno imparato a far da sé a casa, acquistando in profumeria o nel negozio specializzato un prodotto di qualità, magari costoso, ma alla fine risparmiando comunque.

C’è poi il versante export del quale siete molto soddisfatti. Chi ne beneficia e perché?
Pochi, fuori dall’ambito specialistico, sanno che molte aziende italiane producono per conto terzi avendo un know how elevato pur magari prive di marchi ben riconosciuti. E la domanda, in questo segmento, è molto forte, anche da parte di marchi stranieri e insegne estere che chiedono prodotti private label. Da qui la crescita dell’export a tassi notevoli.

Quanto conta il settore in termini numerici?
In Italia le aziende che producono cosmetici impiegano 35mila addetti. Se però allarghiamo l’orizzonte alla filiera arriviamo a 200mila persone. In Europa, invece, le 4mila imprese del settore alimentano una filiera di 1,7 milioni di individui. Ci tengo a sottolineare che nell’ambito del nostro settore si realizza un ottimo esempio di unione europea, nel senso che in ogni nazione si trova un’azienda che produce cosmetici di qualità legati almeno alla tradizione del territorio.