Caffè Carraro: in cantiere capsule compostabili e un progetto di rebranding
Caffè Carraro: in cantiere capsule compostabili e un progetto di rebranding
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Da oltre 90 anni, l’antica torrefazione originaria della provincia di Vicenza coniuga tradizione e innovazione, vantando una produzione pari a 8 mila tonnellate di caffè l’anno e un mercato estero ben strutturato.
Mossa dalla profonda esigenza di rinnovamento, Caffè Carraro SpA ha inaugurato un’attività di rebranding che intende modernizzare il marchio puntando su una veste grafica semplice, ma immediata.
Giuseppe Zanandrea, Amministratore Unico di Caffè Carraro, delinea il profilo della società, preannunciando gli sviluppi in chiave ecosostenibile che l’azienda intende affrontare, a partire dalla realizzazione di capsule in materiale compostabile.
Dott. Zanandrea, qual è la storia di Caffè Carraro?
L’azienda è stata fondata nel 1927 a Schio, in provincia di Vicenza, dall’omonima famiglia. Nel 1986, Mario Carraro decise di cedere l’azienda: a quell’epoca, rappresentava una piccola realtà del vicentino, contava dodici collaboratori, fra operai, commerciali e amministrativi, e produceva circa 6 tonnellate di caffè al mese, ossia i tipici volumi di una piccola torrefazione.
Nel 1986, quindi, sono subentrato alla direzione dell’azienda, accompagnato in seguito dai miei figli, Giulio e Giacomo, e da mio genero Damiano: abbiamo iniziato a far crescere questa azienda, trasformandola prima in una realtà a livello nazionale e portandola, negli ultimi 15 anni, ad assumere un ruolo rilevante anche al di fuori dei confini nazionali.
Caffè Carraro ha sempre lavorato con il canale horeca e con i piccoli negozi alimentari: in seguito ha effettuato l’ingresso sia nella grande distribuzione organizzata che nei discount, in Italia e all’estero.
Quanto conta la grande distribuzione in termini percentuali?
Il nostro fatturato complessivo si divide in tre parti: un terzo è realizzato nel canale horeca Italia, composto da una rete vendita con circa 65 agenti diretti, 6 depositi sul territorio nazionale e oltre 3 mila bar serviti.
Un’altra parte, pari al 40%, è costituito dall’export, ripartito a sua volta in horeca, retail e vending, e infine il retail Italia, ulteriormente suddiviso in due parti: con il nostro Marchio serviamo, il Triveneto e parte della Lombardia e della Romagna, forti di una presenza storica e significativa. Nel resto d’Italia, invece, lavoriamo con le Private Label servendo alcune catene discount come Eurospin, MD, Prix, Todis, Aldi e abbiamo collaborato con Selex per lungo tempo.
State portando avanti un progetto di rebranding. Come mai avete deciso di effettuare questo cambiamento e in che cosa consisterà?
Il marchio così come lo conosciamo è stato pensato da me alla fine degli anni ’80, subito dopo l’acquisizione di Caffè Carraro. Nel corso degli anni abbiamo apportato delle modifiche, ma oggi sentiamo il bisogno di un rinnovamento più profondo, che si basi su semplicità espressiva e su un linguaggio immediato e versatile, facilmente applicabile a tutte le declinazioni in cui il nostro marchio deve essere veicolato.
Dal punto di vista grafico, quindi, siamo passati da linee curve, più elaborate e complesse, a un tratto molto più semplice, in grado di comunicare leggerezza e trasparenza.
Si tratta di un’operazione importante, che ci porta a distaccarci, se pur non in maniera netta, dal marchio storico e dal suo significato evocativo: abbiamo scoperto, però, che negli anni ’70 Mario Carraro aveva elaborato un logo graficamente simile a quello che proponiamo oggi, che ne rappresenta, quindi, una sorta di riproposizione in chiave moderna.
La gamma cromatica del bianco, del rosso e del grigio perla rimane sostanzialmente invariata, mentre abbiamo stilizzato il corrispettivo grafico del fumo, mantenendo il richiamo alla tradizione.
Il nuovo logo, infine, deve rappresentare il segnale di continuità che intendiamo comunicare ai nostri clienti, i quali ci hanno sempre attribuito grande serietà e trasparenza.
Quanto conta l’export e in quanti Paesi siete presenti?
É già da lungo tempo che l’azienda non effettua più una netta distinzione tra mercato italiano e mercato estero: l’Italia è considerata come uno degli oltre 50 Paesi in cui siamo presenti. È chiaro che, essendo nata in Italia, Caffè Carraro vanta, per esempio, una più fitta rete di vendita nel canale horeca nazionale, rispetto a quanto avviene altrove, ma curiamo le relazioni con gli importatori e i partner stranieri esattamente come avviene con i clienti italiani.
Abbiamo sempre guardato al mercato globale in tutta la sua complessità, potendo contare su un grande punto di forza della tradizione italiana, ossia l’espresso: si tratta di un prodotto che vanta una lunga ed importante storia sulla cui esclusività nazionale, però, non è possibile effettuare pronostici sicuri da qui ai prossimi 15/20 anni. L’azienda, quindi, ha deciso di investire su nuove linee di produzione, che ci permettono di andare incontro anche alle esigenze e alle diverse modalità di consumo del caffè nei diversi Paesi: sono stati inseriti così, da qualche anno a questa parte, il Caffè Filtro, il Caffè alla Turca, il monoporzionato in cialde e capsule, e altri ancora.
Anche se, come ha sottolineato, l’azienda non distingue più tra estero e Italia, quali sono i mercati stranieri in cui la vostra presenza è più significativa e quali sono, invece, i Paesi ai quali vorreste affacciarvi?
Gli ultimi 15 anni sono stati importanti per la costituzione di un sistema export strutturato che, ad oggi, ha raggiunto quota 40% del fatturato complessivo. Lo scorso anno, abbiamo chiuso complessivamente a 42 milioni di euro e quest’anno supereremo i 45, registrando così negli ultimi tre anni una crescita media annua del 17%.
I mercati esteri più significativi sono, senza dubbio, i Paesi dell’est e del nord Europa e l’Estremo Oriente, ma siamo anche molto attivi nel bacino del Mediterraneo.
Non siamo, però, significativamente presenti in Paesi quali la Francia, la Germania e la Spagna, caratterizzati da una forte concorrenza interna sia nell’ambito del canale horeca, sia per quanto concerne il retail: qui la nostra presenza è minima, limitata non al prodotto di massa, ma alle specificità a cui facevo cenno prima.
Il Nord America è, senza dubbio, un mercato molto interessante, se pur molto complesso.
Quali sono i progetti per il futuro?
Uno degli obiettivi per il prossimo biennio è quello di superare il 50% di fatturato estero, continuando comunque a crescere in Italia.
Per quanto riguarda le novità di prodotto, invece, abbiamo lanciato i nostri monoporzionati, costituiti da capsule non più in materiale termoplastico, ma compostabile, altamente ecosostenibile.
Anche le cialde dai prossimi mesi saranno solo compostabili e confezionate in materiale riciclabile al 100%.
Stiamo spingendo molto sull’eticità; gran parte dei nostri prodotti sono certificati UTZ; abbiamo una linea completa di caffè derivanti da coltivazioni biologiche (Organic); utilizziamo anche caffè certificati Fairtrade e Rainforest. Naturalemente, tutto il nostro processo produttivo è certificato Iso 9001, BRC Food e IFS Food.
Lo sviluppo, quindi, risiede nelle produzioni sostenibili che investono tutta la filiera, dalla piantagione, alla nostra produzione, al riciclo, fino al riutilizzo della confezione.
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