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Il quick commerce scivola sul post Covid

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Luca Salomone

di Luca Salomone

Tempi duri per il quick commerce, che accusa il netto miglioramento delle condizioni sanitarie e il ritorno delle persone nei negozi fisici, un colpo di coda, che, d’altro canto, era abbastanza prevedibile.

E, anche se il mondo dell’online, in tutte le sue forme, ha compiuto una svolta permanente, i tassi di crescita di oggi non possono più essere uguali a quelli del 2020.

Gorillas meno trecento

Il caso che ha fatto maggiormente parlare di sé, specie per la trasparenza della comunicazione, riguarda Gorillas. La società berlinese, nata a maggio 2020 e qualificatasi, circa un anno fa, come una delle compagnie europee a più alta crescita, valutata più di 1 miliardo di dollari e perciò classificata nel salotto buono delle unicorn, il 24 maggio ha annunciato, sul proprio sito, il taglio di 300 lavoratori del personale di sede.

Scrive, in una lunga lettera, il cofondatore e Ceo, Kagan Sumer: «Ci sono giorni che le persone non dimenticheranno mai nella propria vita. E questo, purtroppo, è uno di essi, per Gorillas e per me. Devo annunciare una riduzione della nostra forza lavoro e voglio spiegarne i motivi. Negli ultimi due anni miliardi di dollari sono stati investiti nell’economia, determinando un’esplosione. Ciascuno è stato un vincitore, ciascuno ha avuto accesso ai capitali e le aziende hanno ottenuto valutazioni altissime, un fatto che ha avvantaggiato anche Gorillas. Ma, a partire da marzo, la situazione ha imboccato un percorso di peggioramento e il mercato si è orientato verso una crescente prudenza. Gli investimenti si sono indirizzati verso settori con un rapporto molto più basso di rischio/profitto».

Da trenta a quattro

Le tech company sono state le più colpite e, nello specifico settore delle consegne ultraveloci, il numero degli operatori si è progressivamente ridotto.

Sempre secondo Kagan esistevano, a gennaio 2020, una trentina di marchi, diventati 15 un anno dopo e, poi, solo quattro. «Gorillas vuole restare fra questi e perciò punterà sui propri mercati chiave: Germania, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Queste nazioni determinano il 90% dei nostri ricavi e un significativo apporto di redditività».

In Italia - dove la startup è entrata un anno or sono, a fine maggio, raggiungendo Bergamo, Firenze, Milano e Torino -, in Spagna (4 città), in Danimarca (2 nuclei urbani) e in Belgio (altri 2), il gruppo sta studiando, avverte l’imprenditore, tutte le opzioni possibili per rimanere. Infatti, precisa, si tratta di mercati comunque molto attraenti. Staremo a vedere....

Anche i pionieri soffrono

Simile il caso di Getir. L’operatore turco è il pioniere del quick commerce. Offre, oltre alle consegne di cibo e bevande, la ricerca di taxi, di lavoro, di auto a noleggio…tutto in una sola app.

Fondato nel 2015 a Istanbul, Getir è approdato nel nostro Paese alla fine di settembre del 2021 e oggi opera a Milano, Roma e Torino.

Presenta una valutazione di 11,7 miliardi di dollari, dopo aver chiuso, in marzo, un nuovo round finanziario di 768 milioni di dollari. Copre 9 nazioni, compresa quella di origine e dà lavoro a 32.000 persone.

Insomma, un leader, per giunta nato in tempi ‘non sospetti’. Ma, secondo quanto riporta Bloomberg è stato programmato un significativo taglio, del 14 per cento, del personale di sede.

I casi non finiscono qui e riguarderebbero molte altre tech company impegnate, a vario titolo, nel mondo del retail e dei servizi collegati. Nei prossimi mesi, secondo voci abbastanza fondate, ma, per ora, tutte al condizionale, ne vedremo delle belle o, per meglio dire, delle brutte.

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