Aziende e inclusione: l’84% ne riconosce il valore etico, ma restano gap da colmare
Aziende e inclusione: l’84% ne riconosce il valore etico, ma restano gap da colmare
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di Claudia Scorza
La capacità di curare e valorizzare ogni individuo presente in azienda – espressa con la formula diversity, equity & inclusion – è ormai un asset strategico irrinunciabile per raggiungere risultati superiori in termini economici, di innovazione e di fiducia della business community.
Eppure, le imprese italiane non riescono a concretizzare le generiche “buone intenzioni”, sempre più diffuse, in azioni realmente incisive, anche a breve termine.
È quanto emerge da “Future of Work”, la ricerca curata da Inaz – Osservatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano, che per l’ultima edizione si è concentrata sui temi della diversity & inclusion con un sondaggio fra circa 100 hr director di aziende italiane nel periodo settembre-ottobre 2022, a cura di Fabrizio Lepri, docente di Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane presso l’Università degli Studi di Roma Tre.
Sembra esserci ancora molto da fare per portare l’Italia su posizioni competitive per quanto riguarda l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. La ricerca "Future of Work 2022" conferma quanto da anni viene indicato dalle classifiche internazionali investigando per prima cosa sulle ragioni che spingono i vertici aziendali italiani a occuparsi di D&I: spicca la grande importanza che al tema viene attribuita sul piano etico (84% delle risposte), ma sono poco compresi i suoi risvolti in termini pratici, cioè di business (50%) e fiducia della comunità finanziaria (42%).
D’altra parte, una percentuale interessante di risposte viene però raccolta dalla voce “Engagement, attraction e retention” (64%): questo significa che sta crescendo nelle imprese l’attenzione alle generazioni più giovani, che sono più sensibili alle tematiche D&I. Per quanto riguarda poi le differenti aree di diversity, emerge che la maggiore attenzione viene posta su disabilità (78%) e genere (76%), seguite dalle differenze generazionali (62%) e poi, a maggiore distanza, da orientamento sessuale, origine geografica e religione.
Dal punto di vista del livello di strutturazione dei piani D&I e delle azioni messe in atto, meno della metà delle aziende intervistate (46%) risponde di avere una pianificazione già presente; di quelle che hanno risposto di no, il 63% prevede però di elaborarne una nel prossimo futuro.
Fra le azioni messe in campo dalle aziende spiccano quelle dedicate a contrastare la disparità di genere (76% delle preferenze), disparità che si manifesta principalmente nello sbilanciamento di responsabilità e retribuzioni fra uomini e donne. In questo ambito salta all’occhio però che solo il 44% delle aziende intervistate monitora in modo sistematico il gender pay gap e solo il 38% fa effettivamente qualcosa per ridurlo; per contro, le aziende dichiarano di concentrarsi di più nell’incrementare il numero di donne in ruoli manageriali (il 60% ha azioni in corso in questo senso).
La ricerca di Inaz e Business International – Fiera Milano prosegue approfondendo anche tematiche come l’inclusione delle persone con disabilità, il valore dei processi hr come leve per la D&I, l’utilità degli hr data analytics e l’utilizzo del welfare aziendale come strumento di inclusione e miglioramento del work-life balance.
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