Dai sondaggi sullo stato d'animo degli europei, citiamo per tutti Euroclima di Gfk-Eurisko, risulta che le maggiori preoccupazioni dei cittadini sono l'inflazione e il debito pubblico. Mentre sul secondo si può lavorare principalmente attraverso manovre di politica economica, è proprio vero che sui prezzi impazziti, a causa del petrolio e dei rincari delle materie prime, non si può fare nulla? E se le imprese pensassero che forse esiste un modo di lavorare orientato a un maggiore cost saving, e soprattutto che i risparmi ottenuti lungo la catena produttiva non vanno tanto rigirati sul profitto, quanto utilizzati per favorire il consumatore?

La risposta è sì, si può. E a dimostrarlo è l'esperienza di Assolowcost, l'associazione italiana del low cost di qualità, che raggruppa 19 associati - da Ikea a Mercatone Uno, da Camicissima a Nau, da Ing Direct a Dacia, tanto per fare qualche nome - e che, non a caso ha attualmente pendenti altre 60 richieste di adesione.

Il modello del low cost di qualità, cioè quello che non bada solo alla convenienza, ma anche al livello dei prodotti offerti e che impone severi standard, è in fondo abbastanza semplice, come spiega l'economista Gianfranco Polillo: "Il low cost - dice - deriva in prima battuta dalla delocalizzazione produttiva in Paesi a basso costo della manodopera. Ma oggi quei Paesi - cito per tutti i Brics - hanno fatto passi da gigante e sono in grado di fornire beni ad altissima tecnologia, tanto che negli ultimi 10-12 anni il modello low cost sta diventando dominante. E questo modello consiste nel riversare il guadagno di produttività non sull'azienda, ma sul prezzo".

I numeri parlano chiaro. A illustrarli è Andrea Cinosi, presidente di Assolowcost: "In un contesto economico globale che ancora stenta a riprendersi dalla grande crisi economica e finanziaria, il low cost di qualità si conferma in forte crescita in Italia: nel 2010 il settore ha registrato un incremento del 13,53% sull'anno precedente, per un valore complessivo di 76.896 milioni di euro e con un'incidenza sul Pil che ha raggiunto il 5%". A tirare la volata sono le assicurazioni dirette (+15%), l'abbigliamento (+8,5%), le auto (+50%), i carburanti (+10%) i servizi sanitari (+97%) e i farmaci equivalenti (+15%).
Il terzo rapporto annuale dell'associazione, basato su una ricerca di Datacontact, condotta con interviste telefoniche a un campione rappresentativo di 800 persone, dimostra che ben il 48,8% degli italiani dichiara di avere acquistato prodotti o servizi low cost di qualità nel corso dell'anno. Dall'indagine emerge che il 32,8% dei nostri connazionali, durante il 2010, ha tagliato i consumi rinunciando all'acquisto di prodotti, il 23,3% ha scelto prodotti con un prezzo minore, mentre il 42,9% ha mantenuto le proprie abitudini di consumo.

Ma chi è il consumatore low cost? "Il target è molto trasversale - ci spiega Cinosi - anche perché spesso le persone fanno un mix. Intendo dire che chi acquista un volo low cost, non deve poi necessariamente optare per un albergo low cost, e viceversa". Comunque parliamo di un consumatore di alto livello, con buoni standard di scolarizzazione, generalmente diplomato o laureato.

Risparmiare, insomma, è possibile, non solo privandosi dei beni o dei servizi desiderati, ma facendosi aiutare in questo dalle aziende. Andrea Baracco, vicepresidente di Assolowcost ed esponente di Dacia, marchio di origine romena e oggi parte della scuderia Renault, racconta la propria esperienza aziendale, facendo una premessa: "Stiamo passando dall'era dell'apparenza a quella dell'intelligenza. Noi come Dacia abbiamo ormai ottenuto in Italia una quota di mercato dell'1,2%. In Francia siamo il quarto marchio di auto. Lo scorso anno, nella Penisola, abbiamo distribuito 20.000 veicoli, che andrebbero sommati a un circolante che è ormai di 70.000. Nel 2010 siamo cresciuti, in un settore ormai cedente, di un 10% a livello mondiale".
E così il cost saving non è più un fatto soltanto individuale o familiare, ma finisce per riguardare l'intero sistema economico, a partire dai produttori.