Orari del commercio: cosa succede nel resto d'Europa
Orari del commercio: cosa succede nel resto d'Europa
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Sulle chiusure domenicali e il relativo labirinto di deroghe e competenze il Governo ci ripensa.
Il testo infatti, secondo la Commissione attività produttive della Camera è ormai molto differente da quello originale e, d’altronde, l’Esecutivo si è reso conto che manca una valutazione dell’impatto sul territorio, come sono mancate, in questa ultima fase, le consultazioni con le parti coinvolte, a cominciare dalle associazioni di categoria.
Tutto rimandato, dunque, per lo meno al mese di maggio, dopo, si spera, una seria valutazione costi-benefici condotta da un ente super partes, che possa smentire o avvalorare le stime degli operatori in fatto di perdita di produttività e di posti di lavoro.
Nel frattempo c'è anche da chiedersi cosa accade nel resto dell’UE. In luglio, cioè quando la ‘sderegulation’ era già sotto i riflettori, ha colmato il vuoto un focus (“Siamo solo noi? La regolamentazione delle aperture domenicali dei negozi in Europa”) condotto da Alessio Mitra per conto dell’Istituto Bruno Leoni, ente di ricerca nato nel 2003 per promuovere le idee per il libero mercato.
Dopo avere ripercorso le principali tappe della legislazione commerciale italiana ed elencato le ragioni degli interessati, dai sindacati dei lavoratori, alle associazioni del piccolo e grande commercio, l’autore spiega che “in Europa, il modello di regolamentazione degli orari lavorativi e delle aperture domenicali è quanto più eterogeneo. In 16 dei 28 Stati membri non è presente alcuna limitazione. L'Italia appartiene dunque al gruppo dei Paesi con una disciplina maggiormente concorrenziale, ma certamente non costituisce un'eccezione e ci vede, per esempio, al fianco di Danimarca, Finlandia e Svezia”.
Gli Stati in cui vigono restrizioni si sono attrezzati con sistemi di deroghe, né più e né meno come hanno fatto gli operatori italiani prima del 2012, momento di entrata in vigore della liberalizzazione varata dal governo Monti con il cosiddetto ‘Decreto salva Italia’.
“Generalmente queste deroghe – si legge ancora - riguardano i negozi di alimentari, panetterie, grande distribuzione (specie superette, ndr.), giornalai, stazioni di servizio, negozi di stazioni ferroviarie e aeroporti. La panoramica europea mostra che, in nessun Paese considerato, il lavoro domenicale è totalmente proibito e anche in nazioni come Grecia, Germania e Francia, che hanno maggiori limitazioni, sono presenti numerose eccezioni. Malta, Ungheria, Finlandia e Danimarca hanno introdotto, e successivamente abolito, le restrizioni sul lavoro domenicale”.
Più in dettaglio, oltre agli Stati scandinavi, già citati, esiste una vasta zona di libera apertura nell’Europa orientale: parliamo di Bulgaria, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia. A queste si sommano i Paesi Baltici - Estonia, Lettonia e Lituania – l’Irlanda, il Portogallo e, nel Regno Unito, la Scozia. L'Irlanda del Nord, l’Inghilterra e il Galles hanno una deroga domenicale per quanto riguarda gli esercizi sotto i 280 metri quadrati.
In sostanza più della metà dell’Unione lascia totale libertà di impresa agli esercenti. Il solo divieto ricorrente, del resto più che comprensibile, concerne la vendita di alcolici negli orari notturni. Inoltre le grandi festività nazionali sono per lo più disciplinate secondo modalità diverse da quelle delle normali domeniche.
Al contrario in nessuna nazione, come detto, c’è un divieto assoluto. Più permissivi il Lussemburgo, con i negozi alimentari aperti al mattino e il Belgio, dove il commerciante può scegliere un giorno di riposo obbligatorio diverso dalla domenica.
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