di Luca Salomone

Cruciale e in evoluzione, ma bisognosa di superare la frammentazione: questa la sfida dei mercarti all’ingrosso, secondo il rapporto condotto da Ismea con la collaborazione di Italmercarti, rete d’imprese cui aderiscono 22 realtà fra le maggiori del settore, operative in tutta Italia.

Italia ed estero a confronto

La ricerca (intitolata, appunto, ‘I mercati all'ingrosso nella filiera agroalimentare’) parte dalla considerazione che tali realtà sono snodi centrali nel commercio di freschi e freschissimi, con un importante compito nella valorizzazione delle produzioni locali e stagionali, nella tracciabilità di filiera e nella sicurezza igienico-sanitaria.

Il network sta cambiando e guarda oggi a un nuovo modello, l'hub multifunzionale, capace di offrire una molteplicità di servizi, in aggiunta alle tradizionali mansioni di intermediazione commerciale, logistica e stoccaggio.

L’indagine, svolta presso gli aderenti a Italmercati, spiega che in Italia operano, a gran totale, 137 strutture (numero sei volte superiore a quello di Spagna e Francia) da cui transita circa il 50% dell’offerta ortofrutticola complessiva, il 33% di quella ittica e il 10% delle carni, quote che, a eccezione di frutta e verdura, risultano significativamente inferiori a quelle di altri Paesi Ue.

Questo perché il quadro nazionale restituisce l’immagine di una realtà ancora molto composita, dove alla maggiore densità corrisponde, invece, un giro d’affari più contenuto.

La DM è il secondo cliente

Lo studio quantifica, per la sola rete Italmercati, un giro d’affari di 115 milioni di euro, un valore che raggiunge ben 11 miliardi, se si considerano anche le 4 mila entità di tipo economico operative nei siti, fra distributori, aziende agricole, bar, ristoranti e servizi accessori, con il coinvolgimento quotidiano di 26 mila addetti.

Fra i clienti dei mercati, la quota più consistente è rappresentata dai dettaglianti tradizionali (37%), seguiti dalla distribuzione moderna (18%) e dagli operatori dei mercati rionali (17%).

Rilevante anche la partecipazione di intermediari ed esportatori, nazionali (11%) ed esteri (7%), e di imprese dell'Horeca (6%), in particolare ristoratori, questi ultimi in crescita insieme agli esponenti della Gdo.

L’origine del prodotto che transita da questi hub è prevalentemente nazionale, con una quota rilevante di produzioni locali, in arrivo, cioè da una distanza massima di 100 km, a eccezione delle carni, costituite per lo più da beni d’importazione.

Più in dettaglio, le merci del posto formano più della metà dell'offerta di piante e fiori, un terzo degli orticoli e degli ittici, un quinto della frutta.

Il modello Italmercati

Come si evince dall’indagine, un asset strategico delle strutture aderenti a Italmercati è la loro ubicazione rispetto agli snodi logistici: tutte operano nelle immediate vicinanze di uno svincolo autostradale, più del 50% nei pressi di un aeroporto, il 50% a ridosso di uno scalo merci ferroviario, circa un quinto in prossimità di un porto commerciale. Una collocazione favorevole anche rispetto alle produzioni offerte, con molte strutture che operano all’interno di distretti agroalimentari o di aree di qualità riconosciuta (a marchio Dop-Igp), a riprova dello stretto legame con le imprese del settore primario.

Queste realtà, accanto alle operazioni strettamente riconducibili al core business, contribuiscono anche alla produzione di energia rinnovabile, con il 60% che ha investito in tale direzione, grazie all’installazione di impianti in parte finanziati dal Pnrr. E la previsione è di arrivare, entro il 2026, a una quota di energia autoprodotta pari a quasi la metà del fabbisogno.

La sostenibilità è ulteriormente rafforzata dal comune impegno nella lotta agli sprechi, attraverso il recupero di prodotti invenduti, donazioni a enti caritatevoli e vendita diretta ai cittadini.

«La frammentazione del settore dei mercati all’ingrosso in Italia ha portato molte di queste strutture a perdere rilevanza e strategicità per il Paese e ha condotto a smarrire la visione d’insieme. La rete di Italmercati nasce proprio dalla sentita esigenza di porre rimedio a tale polverizzazione, per fare sistema e lavorare in sinergia, condividendo le caratteristiche e la visione futura - spiega il presidente di Italmercati, Fabio Massimo Pallottini - Per uno sviluppo del comparto, è fondamentale che le azioni politiche investano nei mercati all’ingrosso strategici del Paese: la nostra proposta cerca di individuare un numero - magari ridotto - di mercati chiave, che garantiscano un sistema più efficace ed efficiente, non tralasciando i principali requisiti alla base di queste strutture: garantire ai consumatori servizi di tracciabilità e sicurezza alimentare».

Lo sviluppo futuro dei mercati, infatti, deve essere accompagnato – secondo Italmercati - da un percorso di aggregazione delle realtà esistenti in strutture moderne, più grandi ed efficienti, con evidenti ricadute positive, quali una messa in efficienza della catena logistica e una minore dispersione degli investimenti.

La proposta della rete di imprese - già pronta a essere implementata e condivisa con le istituzioni e in particolar modo con il Masaf - verte su quattro elementi: creare un network sempre più ampio, con cui condividere le politiche di settore sia a livello regionale, sia nazionale; potenziare il ruolo dei mercati come operatori della filiera, aumentando coinvolgimento e integrazione nel sistema della grande distribuzione organizzata e la loro collaborazione con le organizzazioni di produttori; aprire un tavolo di lavoro nazionale sulla logistica e rafforzare il settore ittico, in sofferenza dal momento che, a differenza di altri Paesi europei, il legame tra i mercati e il settore della pesca risulta, da noi, ancora inefficiente.

Le incertezze degli agricoltori

Osserva la direttrice generale di Ismea, Maria Chiara Zaganelli: «In una congiuntura difficile per le imprese, con ricadute soprattutto sulla tenuta dei redditi, schiacciati dagli alti costi di produzione, i mercati all’ingrosso possono assumere un importante ruolo di stimolo per favorire un processo virtuoso, indirizzato a una più equa ripartizione del valore lungo la filiera e meno penalizzante per le aziende agricole, l’anello strutturalmente più debole. Su questo fronte la nostra indagine ha messo in evidenza i fattori di criticità che non consentono di garantire la presenza diretta degli agricoltori nei mercati all’ingrosso. Rispetto a questa esigenza i mercati stessi potrebbero fornire servizi di supporto e di facilitazione ai piccoli produttori, anche con una diversa programmazione degli orari di apertura, un aspetto, quest’ultimo, segnalato pure da altri operatori».

Da notare che, secondo i dati dell’indagine, il 76% delle società agricole si dice non interessata alla possibilità di entrare nei mercati generali, per motivi legati a una dimensione ancora troppo piccola, che rende preferibile la scelta di intermediari, e per la mancanza di personale (33% delle risposte) da dedicare alla vendita in orari di apertura troppo sbilanciati verso la notte (31% delle motivazioni). Si aggiungono a questi elementi il timore di una competizione di prezzo troppo serrata (16%) e l’offerta, da parte degli agricoltori, di una gamma insufficiente (14%).

Al contrario i motivi di interesse (il 14% delle imprese agricole opera nei mercati e il 9% vorrebbe farlo) risiedono specialmente (67%) nella possibilità di raggiungere un numero elevato di clienti di tipologie molto varie, di integrarsi e instaurare collaborazioni con altri soggetti (11%) oppure di spuntare un prezzo più interessante rispetto alle alternative commerciali (11%).