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Investimenti green: li programma il 54 per cento dell'agroalimentare italiano

Investimenti green: li programma il 54 per cento dell'agroalimentare italiano
Investimenti green: li programma il 54 per cento dell'agroalimentare italiano

Investimenti green: li programma il 54 per cento dell'agroalimentare italiano

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Luca Salomone

di Luca Salomone

Innovazione digitale e transizione green: sono queste le principali tendenze del presente e del futuro per l’agroalimentare italiano.

Indagine sulle barriere

Le considerazioni emergono da un’indagine di Istituto Tagliacarne, Unioncamere e Centro studi Rural Hack, indagine che è al centro di Agrifood future, kermesse salernitana, partita ieri, 16 settembre e che, per cinque giorni, fino a mercoledì 20, coinvolge istituzioni, imprese ed enti di ricerca con l’obiettivo di promuovere un confronto aperto sul futuro del settore.

Secondo la ricerca, tra il 2022 e il 2024 il 54% delle aziende agroalimentari sosterrà investimenti green: una percentuale più alta rispetto alla media del totale dei settori (51 per cento). I soggetti che adotteranno tecnologie 4.0, entro il prossimo anno, sono il 32% di quelli attivi nell’agrifood.

Tutto semplice? Per niente, dal momento che sussistono forti ostacoli. Per i mancati investimenti in sostenibilità le principali barriere sono, nell’ordine, i costi delle materie prime green (23% in un questionario a risposte multiple), la poca conoscenza delle agevolazioni pubbliche (22%), le risorse finanziare insufficienti (21%), le difficoltà oggettive nell’ottenere gli incentivi previsti dal sistema statale (19%).

Per dirla in poche parole, quello che mancano sono il denaro e un’adeguata formazione culturale, specie normativa e finanziaria.

Se si guarda agli sviluppi digitali a remare contro sono praticamente gli stessi fattori: i costi troppo elevati delle tecnologie (30%), le risorse economiche insufficienti (26%), ma anche la mancanza di informazione (14%).

Imprese più grandi e più produttive

Agrifood future, che, per l’occasione, ha redatto un corposo rapporto sul settore (35 pagine) sottolinea che, nella nostra Italia, il comparto agroalimentare (dati Unioncamere), contava, a giugno 2023, ben 760.673 imprese.

Si osserva che, all’interno di questo ‘esercito’, a fare la parte del leone sono, naturalmente e numericamente, le realtà agricole: 700.876 unità, rispetto alle 59.797 aziende di trasformazione.

In confronto al 2020 le imprese del comparto sono diminuite del 2,8% e del 6,4% sul 2015 (Unioncamere-Infocamere). Tuttavia “in questo percorso – si legge – le società di capitale rappresentano ora il 5,2%, in marcata crescita (+1,7% rispetto al 2022 e +44,1% rispetto al 2015), evidenziando un processo di irrobustimento guidato dalle esigenze di mercato”

Inoltre, la filiera ribadisce tutta la sua importanza se si considera il numero degli occupati che, nel 2022, erano 1,4 milioni. E, secondo Istat, la crescita della performance economica, nel 2015-2022, è stata accompagnata da un incremento dell’occupazione dell’1,2 per cento.

In sostanza il sistema è ora caratterizzato, nella media, da aziende più grandi, più solide e più produttive, una produttività che, in ogni caso, era già molto elevata nel 2020, quando il fatturato per addetto registrava i 230 mila euro (Istat), molto superiore al dato delle altre attività economiche nazionali, pari a 172 mila euro.

Qualità ed export come record

Non solo: ma come è ben noto l’agroalimentare tricolore registra continuamente cifre record all’export, e, nel 2022, ha superato il traguardo dei 60 miliardi di euro, attestandosi, per la precisione, a 60,7 miliardi, con una crescita annua che è stata la più importante dal 2000 (+14,8% rispetto al 2021; +64,6% nel periodo 2015-2022).

L’Italia è, anche, come emerge dall’ultimo rapporto Ismea-Qualivita, il primo Paese in Europa nei beni agroalimentari di qualità, con 845 denominazioni protette (526 vini e 319 cibi), per un valore della produzione totale di 19,1 miliardi di euro.

Infine, la Penisola è il primo esportatore nel mondo di polpe e pelati di pomodoro (76,7% sul totale dell’esportazione mondiale), di pasta (48,4%), di castagne sgusciate (32,6%), di passate e concentrati di pomodoro (24,2% del mercato), nonché secondo per il vino, i formaggi freschi, i kiwi, liquori, mele e nocciole.

Il tutto per dire che il nostro sistema agrifood non sarà certo perfetto, per esempio è ancora troppo polverizzato e conta pochissime multinazionali, come sottolinea anche la fonte, ma è sicuramente di primaria importanza per il Paese. Dunque, programmarne il futuro è essenziale.

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