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Il nuovo protezionismo in cima alle preoccupazioni dei Ceo

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Il nuovo protezionismo in cima alle preoccupazioni dei Ceo

Il nuovo protezionismo in cima alle preoccupazioni dei Ceo

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Fabio Massi

di Luca Salomone

Quali sono le preoccupazioni e le priorità dei 1.200 top manager che EY ha interpellato nell’ultima edizione della propria ricerca Ceo outlook pulse?

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Il campione, formato da dirigenti internazionali, di cui 50 italiani, rileva, in larga maggioranza (62%), che la congiuntura presente è ancora in vetta ai loro pensieri, con il suo mix indigesto di guerre, contrazione dei consumi, inflazione e aumento dei tassi di interesse. Pertanto, non è difficile attendersi un temporaneo, ulteriore ripiegamento dei mercati. E per giunta, come vedremo, il concetto di globalizzazione è tramontato, sepolto dai nuovi protezionismi, che condizionano le strategie espansive.

Ma questo non toglie che una folta rappresentativa di soggetti si dichiari più ottimista, rispetto a inizio anno, sulle performance della propria azienda nel 2024.

Dall'intelligenza artificiale alla sfida ambientale

«Nonostante l’attuale contesto macroeconomico e geopolitico ponga ancora una volta le aziende di fronte a una molteplicità di rischi esterni e interconnessi, gli Ad - e in particolar modo quelli italiani - stanno reagendo con ottimismo, con il 46% (contro il 31% a livello globale) deciso a trasformare i modelli operativi e di business - commenta Massimo Antonelli, amministratore delegato di EY Italia e chief operating officer di EY Europe West -. In questa trasformazione risulta chiaro il ruolo decisivo attribuito all’intelligenza artificiale, in relazione alla quale i nostri connazionali, si dimostrano più avanti nel riconoscimento delle opportunità rispetto ai colleghi di altri Paesi. Gli italiani sono lungimiranti anche in materia di sostenibilità, con il 64% del sub campione che non si distoglie dal problema, una quota doppia rispetto alla media internazionale. I nostri top manager, infatti, stanno investendo risorse sostanziali per garantire valore duraturo agli azionisti e alle aziende».

L’attenzione verso le tematiche ecologiche e sociali è dovuta a ragioni molto pratiche: secondo il 54% dei Ceo i rischi che potrebbero impattare sulle performance delle imprese sono proprio i fattori Esg, anche alla luce di accelerazioni normative che condizioneranno l’offerta dei prodotti, i processi industriali e le catene di fornitura.

Al secondo posto, percepiti dal 48% degli intervistati, i rischi connessi alla rivoluzione tecnologica e digitale: i manager sono ben consapevoli delle eventuali minacce provenienti dal cyberspazio.

Campeggiano tuttavia, con il 96% delle risposte (italiane), i timori inerenti ai nuovi meccanismi protezionistici che si sono scatenati sui vari mercati, meccanismi che incidono sull’attuale e futura gestione degli investimenti e che comportano una valutazione, più che mai accurata, delle aree geografiche da presidiare o evitare.

Più in dettaglio, la revisione dei piani finanziari è dovuta, per il 31% dei nostri amministratori delegati, alla crescente frammentazione dell’economia globale, che si contrappone a uno scenario di globalizzazione messo in crisi dalla pandemia.

Come accennato, a questo si aggiunge (21% dei rispondenti) il timore di nuove e ulteriori restrizioni al commercio o agli investimenti esteri. Allo stesso modo, i conflitti bellici e le tensioni politiche avranno ricadute pesanti (21% delle risposte).

Come allocare i capitali

Fra gli sviluppi futuri ci sono le enormi opportunità derivanti dall’applicazione dell’intelligenza artificiale: il 70% degli intervistati italiani(65% a livello globale) ne riconosce il potenziale per migliorare la produttività, promuovere l’efficienza aziendale e creare risultati positivi per la società (si citano le innovazioni nei trattamenti sanitari). La medesima percentuale (70% del campione italiano e 66% di quello internazionale) è d’accordo che l’impatto dell’Ia sulla forza lavoro sarà controbilanciato da nuove opportunità di carriera e da nuovi ruoli creati dalla tecnologia, respingendo i timori che questa frontiera possa avere un risvolto eccessivamente negativo sull’occupazione.

Allocazione del capitale: nei prossimi 12 mesi i manager italiani perseguiranno una strategia destinata perlopiù a favorire la crescita organica (34%, contro il 25% a livello globale), mantenere una riserva di liquidità per opportunità future, o sfide inaspettate (28%, contro il 29% di media), perseguire fusioni e acquisizioni (24% vs 26%).

Facendo leva sullo sviluppo e le operazioni di M&A, le nostre aziende puntano in primo luogo a migliorare le proprie capacità tecnologiche e d’innovazione (28%), espandersi in nuovi mercati, o aree geografiche (24%), lanciare nuovi prodotti e servizi, o migliorare quelli esistenti (18%).

Il 78% dei nostri Ad conferma, poi, di voler proseguire, se non accelerare, la trasformazione dei propri modelli operativi e di business. Questi progetti sono finanziati in larga parte con mezzi propri, attraverso iniziative di miglioramento dell’efficienza (45%), rifinanziamento del debito esistente (26%) e attraendo nuovi capitali (21%).

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