A dare fuoco alla polveri sull’Italia del non sviluppo è stato il caso di Ikea, che dopo anni di battaglie a Vecchiano (Pisa) ha rinunciato a un investimento milionario per i giri e rigiri della burocrazia. Dal canto suo “Il Sole-24 Ore” ha cavalcato la tigre, andando a scoprire, durante la settimana passata, i numerosi casi di “aborti imprenditoriali” dovuti al nostro apparato e annunciando addirittura, per questa settimana, un’amplissima inchiesta sull’argomento.

Veniamo ai fatti. Ikea aveva programmato l’apertura pisana 6 anni fa e aveva l’intenzione di investire 100 milioni per un punto di vendita di circa 20.000 metri quadrati. Ma sei anni non sono pochi e nel frattempo, ha comunicato il colosso svedese in una nota, “l’investimento su Vecchiano non è più competitivo in relazione ad altre potenziali localizzazioni”. A quanto pare la goccia che ha fatto traboccare il vaso, già colmo nonostante la pazienza del gruppo svedese, sono stati un paio di studi di fattibilità promossi dal Comune, che proponevano di spostare l’insediamento in altra zona, ossia da un’area ricca di passaggio stradale a un polo industriale. Come dire che dei burocrati, sebbene supportati da esperti, hanno creduto di insegnare il mestiere a chi sa benissimo da anni e anni dove e come aprire un nuovo punto di vendita.

Ancora peggio è andata ad Esselunga. Da ben 24 anni è pendente la richiesta di apertura di un punto di vendita a Cusano Milanino (Mi), e il negozio non si vede ancora.

Normalmente in questi casi si dà anche la colpa ai comitati di cittadini, che nel nome del cosiddetto Nimby (not in my backyard, ossia non nel mio cortile) fanno ogni tipo di resistenza. Ma qui le responsabilità sembrano essere soprattutto della Pubblica Amministrazione e degli enti locali. E’ sempre “Il Sole” che stima che i progetti bloccati siano addirittura 320 e ovviamente non riguardano solo la gdo, ma comprendono casi ben noti, come quello del rigassificatore British Gas a Brindisi, dello zuccherificio di Castiglion Fiorentino (Arezzo), della centrale Enel di Porto Tolle e via citando.

Forse però il caso Ikea ha colpito più di altri l’opinione di osservatori e giornalisti in quanto si tratta di un gruppo che ha notoriamente un profilo di bassissimo impatto ambientale, nel solco di una politica improntata da sempre alla sostenibilità, tanto da arrivare ultimamente al progetto, per tutti i propri punti di vendita, di un’alimentazione energetica completamente basata sul solare e sulle fonti rinnovabili.

D’altro canto Ikea avrebbe sviluppato, con la propria presenza pisana, 400 nuovi posti di lavoro, indotto compreso. E non si può neanche dire che la multinazionale svedese si sia dimostrata poco disponibile, avendo modificato il proprio progetto per ben 4 volte, in funzione del parere delle autorità locali.

Lars Petersson, ad di Ikea Italia, ha tirato le conclusioni dell’amara vicenda in un’intervista al quotidiano di Confindustria, riferendo una considerazione drammatica: “Mediamente in Italia servono due anni di attesa in più per avere il via libera all’investimento, cioè sei-sette anni, contro i tre-quattro del resto d’Europa”. E poi, ha concluso Petersonn, la burocrazia italiana è  assolutamente imprevedibile: non si possono anticiparne le mosse. Diversamente, negli altri Paesi, ci si rassegna a un iter magari lungo, ma fatto di passi sempre uguali.