All’indomani del Dpcm 24 ottobre 2020, qual è il sentiment degli italiani? La metà è disposta ad accettare i rigori della seconda ondata solo perché è convinta che a breve arriverà una cura risolutiva o il vaccino. Lo dicono soprattutto i residenti del Sud (il 55,2% rispetto alla media nazionale del 49,7%) e gli anziani (il 53,5%).

L’asticella è fissata per le festività natalizie e questo sembra essere l’orizzonte massimo di tenuta psicologica: ad affermarlo è il Rapporto Censis-Confimprese “Il valore sociale dei consumi”, realizzato con il contributo di Ceetrus.

A fine anno si stima comunque, se le cose non peggioreranno ulteriormente, un crollo della domanda di beni e servizi per un dato complessivo di 229 miliardi di euro (-19,5% in termini reali in un anno), a cui si potrebbe associare, come pesantissima aggravate, un catastrofico taglio di posti di lavoro, fino a 5 milioni di unità.

Il solo retail subirà una sforbiciata di 95 miliardi di euro di fatturato (-21,6%) e nel comparto si rischia la perdita di oltre 700.000 addetti. Nel periodo delle feste natalizie, restrizioni paragonabili al lockdown di primavera farebbero sfumare altri 25 miliardi di euro.

Si spegne, anche, la volontà di resistere, perché nella prima ondata, quasi 4 milioni di famiglie hanno già fatto ricorso a prestiti e aiuti da parte di familiari e amici, soprattutto quelle con redditi bassi (il 25%). Le reti di sostegno informale sono state spremute e ora, per chi entra in sofferenza, è alto il rischio di ritrovarsi solo.

Paura e incertezza colpiscono, naturalmente e maggiormente, le persone con i redditi più bassi: il 60,3% di essi (contro il 37,2% medio) taglia gli acquisti per risparmiare soldi da utilizzare in caso di necessità. Ma per il 76,9% sostenere i consumi è una priorità, per il benessere delle persone e per dare un supporto concreto all’economia.

Per il 15% il lockdown costa troppo e ci vogliono, dunque, altre soluzioni. Per il 43,3% per garantire il giusto equilibrio fra la tutela della salute e la difesa dell’economia bisognerebbe distinguere il rischio di contagio nei diversi territori, blindando le zone ad alto rischio e allentando la presa altrove.

Se i consumi colano a picco, la nostra vita cambia in peggio e questo i nostri connazionali lo sanno bene. Per il 57,1% il benessere soggettivo dipende molto dalla libertà di acquistare i beni e i servizi che si desiderano. Per il 79,4% gli acquisti riflettono la propria identità e i propri valori e, per il 70,3%, i consumi sono un pilastro della libertà personale, una parte importante dell’autonomia individuale, oltre che un’occasione di svago e gratificazione.

Nell’emergenza, comunque, il comportamento di tutti si è trasformato e adattato, anche in modo irreversibile. I consumatori sono diventati più sfuggenti e infedeli: 18 milioni hanno modificato i propri stili, cambiando negozi o brand di riferimento, gestendo diversamente la spesa, adottando nuovi criteri di scelta dei canali commerciali.

Dall’inizio della pandemia ben 13 milioni hanno sostituito i propri negozi alimentari preferiti e il 42,7% ha acquistato online prodotti che prima comprava nei punti vendita fisici: in particolare i giovani (52,2%) e i laureati (47,4%). In generale, dopo il Covid-19, il 38% afferma che non tornerà alle vecchie abitudini.

«La situazione del commercio– afferma Mario Resca, presidente di Confimprese – è già durissima oggi, che abbiamo soltanto chiusure parziali. Già una settimana fa, quando si è cominciato a parlare di lockdown bis o di semilockdown, la flessione è stata immediata, i clienti si sono diradati e distribuzione, ristorazione e commercio hanno intravisto i giorni bui di marzo e aprile. Immagino che nessuno voglia che il crollo dei consumi metta a rischio l’economia, ma per mantenerli entro la caduta fisiologica l’esecutivo deve aiutare subito il commercio e la distribuzione. Altrimenti, la fotografia che ci offre il Censis sarà presto una dura realtà».